Bergamo, a processo per peculato
Avvocatessa condannata a sei anni

I giudici: la professionista ha tenuto per sé circa 125 mila euro, denaro di quattro persone di cui era amministratore di sostegno o curatore. La difesa ha sempre parlato di cattiva amministrazione.

Condanna a sei anni di reclusione, in primo grado, per D. M., avvocatessa di Bergamo a processo per peculato, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e dalla contrattazione con la pubblica amministrazione. La sentenza è stata pronunciata giovedì 14 novembre dal collegio presieduto dal giudice Bianca Maria Bianchi. Il Tribunale ha inflitto alla professionista sei mesi in più di quelli chiesti dall’accusa. Il pubblico ministero Fabrizio Gaverini, infatti, aveva chiesto cinque anni e mezzo.

Secondo le contestazioni, l’avvocatessa – in qualità di amministratore di sostegno di tre persone e di curatore di una quarta, persone con disabilità psicofisiche – si era indebitamente appropriata di una somma complessiva (in quasi dieci anni, dal 2008 al 2017) di circa 125 mila euro (di cui i giudici hanno ordinato la confisca). L’indagine partì a seguito di un esposto da parte di una funzionaria del Comune di Lallio che, per una delle persone seguite dall’avvocato (che versava in contanti i soldi ai Servizi sociali per il mantenimento), aveva segnalato delle differenze tra i prelievi effettuati e quanto invece corrisposto. Da qui scattarono gli ulteriori accertamenti.

L’avvocatessa si è sempre proclamata innocente. Nel settembre scorso, in aula, D. M. aveva reso spontanee dichiarazioni: «Chiedo scusa per non essermi difesa, ho sbagliato a non far capire le mie ragioni al Tribunale, alle parti civile, faccio mea culpa». Spiegando di aver dovuto affrontare gravissimi problemi personali e familiari nel 2016 e contemporaneamente di aver avuto un guasto del sistema informatico dell’ufficio che aveva «fatto saltare la contabilità», aveva aggiunto: «In trent’anni di attività penso di aver dimostrato un atteggiamento diverso, non ho mai voluto depauperare nessuno, chiedo di potermi riscattare».

Nell’udienza di giovedì 14 novembre il legale d’ufficio, l’avvocato Andrea Temporin, ha spiegato che dal processo è emerso che gli episodi contestati sono in numero inferiore e con importi inferiori rispetto alle accuse e che le condotte dell’imputata possono essere attribuibili a cattiva amministrazione ma non hanno rilievi penali al di là di ogni ragionevole dubbio. Il legale ha chiesto il minimo della pena e il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Gli avvocati di parte civile, Roberta Ribon e Samantha Vignati, hanno chiesto i danni, riconosciuti dal Tribunale. Per la difesa, la volontà di risarcire da parte dell’imputata era stata manifestata dalla messa in vendita della casa sotto sequestro. L’acquirente sarebbe stata una società della figlia della stessa D. M. La richiesta venne respinta dai giudici.

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