Bossetti, la difesa chiede l’assoluzione
«Se sei innocente non confessare» - Foto

«Massimo, se sei innocente non confessare mai, ti hanno distrutto come uomo e come padre, questo non te lo restituirà nessuno». È stato l’appello che Paolo Camporini, uno dei legali del muratore di Mapello, ha rivolto al suo assistito prima di chiederne l’assoluzione per non avere commesso l’omicidio di Yara Gambirasio.

Camporini, che assiste Bossetti con il collega Claudio Salvagni, ha chiesto anche l’assoluzione dal reato di calunnia «perché il fatto non sussiste». «Caro Massimo – ha detto Camporini in aula rivolgendosi all’imputato, che si è commosso ascoltandolo – se sei innocente non confessare, non cedere alle pressioni e allo scoramento. Ci credo alla tua innocenza, altrimenti avrei rinunciato al mandato perché a me le bugie non le dici. Ti hanno demolito come uomo, come figlio e come padre e queste cose non te le restituirà nessuno». Rivolgendosi poi alla Corte Camporini ha detto: «Pensateci mille volte, è stata chiesta una pena illegale, anticostituzionale: l’ergastolo è una pena di morte mascherata, l’ha detto anche il Papa».

Le ultime frasi dell’arringa sono arrivate verso le 19, al termine di una giornata intensa, nel corso della quale la difesa ha ripercorso tutte le tappe della vicenda, parlando di Yara e Bossetti, dell’omicidioe di come sono state condotte le indagini. La difesa per tutta la giornata (quella del 10 giugno era la seconda udienza riservata ai difensori) di smontare il castello accusatorio del pm Letizia Ruggeri che dopo 13 ore di requisitoria aveva chiesto l’ergastolo. «Le evidenze oggettive non possono che portare ad assolverlo. Ha detto Camporini, gli indizi non vanno contati ma valutati uno per uno: servono indizi gravi, precisi e concordanti. Qui l’unico indizio grave, se vogliamo definirlo tale, è il Dna, ma non è preciso. La Cassazione ha stabilito che il Dna è una prova solo quando è perfetto, senza dubbi né anomalie».

Anomalie che secondo la difesa ci sono: «Siamo stati presi in giro sul Dna – hanno detto i difensori – le anomalie sono evidenti e nessuno ha però mai detto che si è sbagliato». Durante il suo intervento nel pomeriggio l’avvocato Claudio Salvagni ha ripercorso tutte queste «anomalie» che, a suo avviso, inficerebbero il risultato finale. Questo per via di una procedura, caratterizzata anche da «utilizzo di kit scaduto», il cui risultato è «da cestinare». Secondo il legale, si sono verificati problemi anche riguardo la «catena di custodia» dei reperti che sono stati analizzati. «Sono state rispettate le regole? Io credo di no», ha aggiunto il legale secondo il quale, per questo motivo, quel Dna «può essere stato contaminato». Salvagni ha anche spiegato che sul corpo di Yara «sono stati trovati dieci profili genetici diversi».

«La traccia è irripetibile, e questo è un aspetto sostanziale», hanno detto in un altro passaggio Claudio Salvagni e Paolo Camporini, e hanno aggiunto: «In questo processo è stato chiesto l’ergastolo, non dimentichiamolo. La questione del Dna è da sempre al centro di questo processo: «È un puzzle in cui alcune tessere non entrano al posto giusto ma vengono incastrate a piacimento. Tutto si basa su un Dna sul quale la difesa non ha potuto interloquire. Un atto di fede così non lo facciamo» aveva detto già Salvagni. «Il lavoro del medico legale Cristina Cattaneo non porta a conclusioni certe».

Nel tardo pomeriggio l’avvocato Paolo Camporini ha parlato anche dell’accusa di calunnia nei confronti di Bossetti, il quale dopo l’arresto aveva indirizzato gli inquirenti verso il collega Maggioni. «Bossetti in quelle ore – ha spiegato Camporini in aula – era in uno stato di incapacità di intendere e di volere, dovuto a una condizione di stress emotivo in seguito all’arresto e alla campagna denigratoria che stava distruggendo lui e i suoi affetti. Si stava difendendo, cercava di assecondare gli inquirenti fornendo un’ipotesi alternativa, e ha accusato il collega senza volerlo». E comunque «non lo ha accusato di aver commesso l’omicidio» ha evidenziato Camporini.

Sempre Camporini, parlando delle ricerche trovate nei computer del muratore di Mapello, ha chiesto che «sparisca la parola pedopornografia da questo processo». Il legale ha, infatti, sottolineato che nessuna delle ricerche trovate ha tema pedopornografico ma che si tratta invece di «ricerche che si possono trovare nei computer di tutti gli adulti». Le ricerche, a suo dire, sono contraddistinte da «assoluta rarità» e «successive» alla sparizione e al ritrovamento di Yara Gambirasio. Sarebbero tre o quattro in tutto il periodo preso in considerazione. Il legale, che ha anche fatto riferimento a delle ricerche trovate nel computer della famiglia della vittima, ha detto che «non ha alcun senso» cercare di ricondurre le ricerche nei due computer trovati in casa di Massimo Bossetti al delitto della tredicenne.

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