Casa e scuola orfane
del principio d’autorità

I mezzi d’informazione hanno recentemente dato grande risalto alle barbarie bulliste di studenti-delinquenti e genitori arroganti che hanno contestato violentemente e sottoposto a vessazioni alcuni insegnanti quanto meno un po’ remissivi. Così l’Enciclopedia Treccani declina il concetto di autorità: «Quella forma di potere che viene esercitata legittimamente non solo dal punto di vista di chi la esercita e della società in generale, ma anche di chi la subisce».

Ecco, allora, il vero punto di disequilibrio, il nervo antropologicamente scoperto della nostra società globalizzata, iperattiva e perennemente interconnessa: la mancanza di riconoscimento del principio di autorità da parte di chi la subisce. La prima autorità che s’incontra nella vita è quella dei genitori. Già all’epoca della contestazione studentesca del ’68, lo psicanalista tedesco Alexander Mitscherlich, nel saggio intitolato «Verso una società senza padre» (Feltrinelli, 1970), poneva alla base dell’avvento della controcultura esistenzialista la cosiddetta «civiltà della tavola calda», cioè l’assenza quotidiana del capofamiglia dal desco familiare. Oggi, nella cosiddetta «modernità avanzata», con la crescente diffusione del lavoro extradomestico anche delle donne, per una gran parte della giornata crescono gli spazi dove l’autorità dei genitori è almeno parzialmente in pausa. In questi spazi di attesa indecifrabile, quasi sospesi nel tempo, i figli sono esposti soprattutto all’influenza dei media e di internet, dai quali apprendono per lo più modelli di comportamento per definizione dissonanti rispetto a quelli trasmessi dalla famiglia.

A rendere il quadro educativo e familiare ancora più complesso entrano poi in gioco altri fattori di non secondaria importanza. L’interesse esagerato per la carriera e il guadagno da parte dei genitori, la voglia di spazi privati di autoaffermazione e di evasione, così come il pericolosissimo emergere di sensi di colpa e di riscatto affettivo che inducono padri e madri a fare gli amici dei propri figli, rifuggendo al proprio ruolo d’indirizzo, guida e sostegno. Ed eccoci alla scuola, quale seconda autorità d’incontro e d’impatto pedagogico, che si estrinseca principalmente attraverso il complessivo confronto generazionale docente-discente. Quando gli studenti sospettano che l’insegnante non abbia padronanza della materia insegnata o non riesca a mantenere la disciplina e a creare un clima collaborativo, la sua autorità risulta fortemente compromessa. Da qui l’importanza di un rapporto costruttivo tra corpo docente e genitori. Quando convergono, le due fonti di autorità si rafforzano reciprocamente; quando divergono, si delegittimano a vicenda. In quest’ultimo caso dovrebbe assumere un ruolo decisivo l’autorità del capo di istituto per valutare i comportamenti, dirimere le controversie e decidere eventuali provvedimenti.

Tuttavia, nell’ordinamento del sistema scolastico italiano è assai circoscritta l’autorità dei capi di istituto per non ledere il principio della libertà di insegnamento. Vi è, quindi, estrema necessità di una revisione dell’attuale ordinamento scolastico, con interventi legislativi che mirino ad affermare il ruolo istituzionale di insegnanti e organismi direttivi, attribuendo loro maggiori poteri in campo educativo e disciplinare e richiedendo al contempo chiare certificazione e garanzie di qualità. Un’organizzazione più forte e meglio gestita, che crei in ciascuno di noi quell’orgoglio di appartenenza di un tempo. Quell’affidamento pieno di speranza di un’intera famiglia verso l’ente scolastico quale imprescindibile anello di congiunzione fra i sogni più autentici e magari social dei nostri figli e i necessari bisogni di apprendimento complessivo - intellettivo e comportamentale - per diventare donne e uomini capaci di stare al mondo a testa alta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA