Covid, a Bergamo il ceppo più veloce
Qui una persona poteva infettarne 3,5

«San Matteo» di Pavia e «Niguarda» di Milano hanno analizzato 346 sequenze genomiche ricavate da pazienti in Lombardia. Qui una persona poteva infettarne 3,5. A Lodi invece «soltanto» due.

Il loro progenitore è cinese, quello di Wuhan, ma i «figli», cioè i ceppi che poi si sono sviluppati nel Lodigiano e a Bergamo sono diversi. E quello che ha colpito la terra orobica, in particolare la Valle Seriana, è anche quello con maggiore capacità di diffusione, il più veloce. La notizia di due ceppi diversi del nuovo coronavirus era stata lanciata qualche giorno fa, nel corso di un convegno a Pavia (e pubblicata da «L’Eco»), da uno dei protagonisti di una corposa ricerca scientifica, il professor Fausto Baldanti, direttore della Virologia dell’Irccs San Matteo di Pavia: lo studio è stato condotto appunto dal San Matteo insieme all’ospedale Niguarda di Milano, e sostenuto da Fondazione Cariplo.

Venerdì una conferenza stampa svelerà tutti i dettagli di questa ricerca, ma in queste ultime ore molti dettagli sono già stati diffusi. Il lavoro è stato sottoposto a Nature Communications e riguarda l’analisi di 346 sequenze genomiche complete di ceppi di SarsCov2, il nuovo coronavirus, ricavate da pazienti residenti in diverse zone della Lombardia, in particolare nella Bergamasca, nel Lodigiano, e nella zona di Codogno, dove il 20 febbraio viene diagnosticato il primo caso di Covid 19. Il lavoro è attualmente in fase di valutazione da parte della rivista.

Ebbene, sui dati di questa ricerca sulle sequenze di genoma, è trapelato che quelle riscontrate in Lombardia, a Bergamo e nel Lodigiano, hanno sì parentela con quella del progenitore cinese, ma con diverse differenze: il virus, rispetto all'origine, aggiunge variazioni o «distanze genetiche»: insomma, pur conservando le sequenze iniziali ha in più alcuni«pezzi» diversi, e maggiori sono i pezzi diversi più è passato del tempo da quello iniziale. Lo studio del San Matteo e del Niguarda, infatti, comprende anche una ricerca fatta sull'analisi delle sangue di donatori sani di Lodi a partire da gennaio: nella prima metà di febbraio sono stati trovati cinque soggetti con gli anticorpi neutralizzanti, che compaiono 3-4 settimane dopo che un soggetto è stato contagiato dal nuovo coronavirus. Quindi il Covid nella Bassa lodigiana c’era già da gennaio.

E la sequenza genomica, a quanto trapela sullo studio, è diversa dal progenitore cinese. Si pensa che la «filiazione» sia passata da altri Paesi europei, probabilmente dalla Germania. E da lì i ceppi sono arrivati in Lombardia. «Figli» diversi tra loro, e quello di Bergamo, stando a quanto è trapelato sullo studio del San Matteo e del Niguarda, era più «veloce» di quello diffuso nel Lodigiano: pare che a Bergamo il ceppo A, avesse una capacità di trasmissione tale che un contagiato poteva infettare 3,5 persone. Ma sulla percentuale precisa non c’è ancora certezza, i risultati sono ancora in corso di validazione. L’altro ceppo, il B, che a sua volta avrebbe «figliato» in altri due, a Lodi invece era meno rapido: un contagiato ne infettava altri 2. «Sui dettagli dello studio non si può dire nulla, al momento – rimarca Carlo Nicora, direttore generale dell’Irccs San Matteo di Pavia, già direttore generale dell’Asst Papa Giovanni di Bergamo e ancora prima direttore sanitario proprio del Niguarda di Milano – . Ma è chiaro che questa ricerca ha una grande importanza epidemiologica.

Ci consente, ora che la pandemia non è più al clou, di provare a dare risposte a molti interrogativi su un virus ancora pressoché sconosciuto. In Lombardia è scoppiata l’epidemia, ma non si è mai trovato il cosiddetto “paziente zero”. Ora può essere più plausibile l’ipotesi che non esistesse un solo paziente zero, ma più d’uno. Insomma, potremmo scoprire di essere stati colpiti da più meteoriti, non da uno solo. Dal punto di vista dell’analisi su come è andata questa epidemia, di come interpretare o reinterpretare le valutazioni sull’andamento epidemiologico questo studio può risultare determinante. La ricerca risulta sempre cruciale: non solo dal punto di vista clinico, penso alla terapia del plasma iperimmune, ma ci dà una grossa mano anche dal punto di vista epidemiologico. La genetica risulta fondamentale per capire la pandemia e ci ha aiuta a trovare risposte sull’ignoto, su un virus di cui si sa ancora molto poco».

Se, una volta resi noti tutti i dati dello studio, attualmente in via di valutazione, questi confermassero le differenze nell’andamento epidemiologico che sembra emergere tra Bergamo e il Lodigiano, non si può escludere che oltre che per i ricercatori, questi dati non possano essere considerati importanti anche dai pm che a Bergamo stanno indagando sulla mancata zona rossa.

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