Covid e trasmissione dei dati
L’inghippo delle piattaforme

Mentre «Ncov» utilizzata dall’Azienda sanitaria di Milano non consente di indicare i postivi asintomatici, «Mainf» adottata nel resto del territorio regionale sì

Dodici province. Otto Ats. Due sistemi informatici attraverso cui far fluire i dati dei positivi al virus. È in questo imbuto che potrebbe celarsi uno dei fattori che hanno ingarbugliato la matassa dei numeri sul reale quadro epidemiologico della Lombardia. Si chiamano «Mainf», acronimo che chiaramente rimanda alle malattie infettive, e «Ncov», altra sigla che rimbalza al «nuovo coronavirus», i due programmi in uso in Lombardia per comunicare le nuove positività.

Ncov per 3,5 milioni di assistiti

«Mainf» è utilizzato dalla rete territoriale che fa capo alle Ats di Bergamo, Brescia, Pavia, Insubria (che copre Como e Varese), Val Padana (Mantova e Cremona), Brianza (Monza e Lecco) e Montagna (Sondrio e Valle Camonica); «Ncov», invece, è in servizio solo nei territori che afferiscono all’Ats di Milano, che copre anche la provincia di Lodi, ma che fa riferimento a più del 30% degli assistiti, ovvero circa 3,5 milioni su un totale di circa 10, contro i 6,5 milioni che afferiscono alle altre Ats.

L’inghippo asintomatici

L’idea alla base dei due software è sostanzialmente la stessa, e cioè far arrivare alle singole Ats (ai dipartimenti di prevenzione) e alla Regione tutte le informazioni su chi contrae l’infezione, c’è un dettaglio – solo apparentemente secondario – a differenziarli: su «Ncov» non c’è la possibilità di indicare che il positivo è asintomatico, cosa che invece è possibile su «Mainf».

L’inghippo sugli asintomatici torna attuale alla luce della querelle tra Regione e Istituto superiore di sanità, anche se al momento non sono stati accertati collegamenti tra l’impasse dei numeri e le differenti caratteristiche delle piattaforme. Una coincidenza però effettivamente c’è: l’Iss contesta alla Lombardia, tra le varie cose, anche l’aver inviato una quota elevata (il 50,3% nel periodo 13 dicembre-13 gennaio, contro una media del 2,5% nelle altre regioni) di «casi incompleti per la sintomatologia».

I due programmi sono in utilizzo in tutti quegli snodi del sistema sanitario lombardo che possono accertare la positività: i laboratori che processano i tamponi, gli ospedali, gli studi dei medici di base. «Mainf» in realtà è in uso da ben prima della comparsa del Sars-Cov-2, perché appunto è nato per lavorare su tutte le malattie infettive (dal morbillo alla varicella, dall’Aids all’«influenza da virus potenzialmente pandemici»), e allo scoppio della pandemia è stata aggiunta la specifica voce dedicata al nuovo coronavirus. «Ncov» è invece un software che l’Ats di Milano ha appositamente messo a punto e introdotto da metà marzo, e in quell’area ha preso il posto di «Mainf»; successivamente è stato integrato anche per gestire i pazienti fragili, più a rischio per il Covid. Altra piccola differenza: «Mainf» può essere utilizzato solo sulle postazioni collegate al Siss, il sistema informativo socio-sanitario, mentre a «Ncov» si può accedere in maniera più smart, ossia non richiede il collegamento al Siss, ma un medico lo può utilizzare anche da casa, da più dispositivi.

Sullo sfondo dunque restano alcune domande, ancora però senza risposta: la differenza legata all’impossibilità di segnalare gli asintomatici tramite «Ncov» ha contribuito a «sporcare» il flusso di dati? E ancora: se tra la falla del software e i problemi nella «qualità» dei dati c’è davvero un nesso, è possibile che il problema si sia aperto solo ora, dopo quasi un anno di emergenza? E soprattutto: nel caso in cui venisse effettivamente stabilita una relazione tra la falla e il problema dei dati, perché e chi ha deciso di struttura diversamente la piattaforma rispetto a quelle utilizzate nel resto della Lombardia?

Gli «attualmente positivi»

A proposito di numeri, altri dubbi vorticano nel mare delle cifre. Un ulteriore possibile fronte è quello degli «attualmente positivi», cioè le persone che hanno ancora in corso l’infezione. Secondo la dashboard regionale, sono 49.038; se però si sommano, giorno dopo giorno, i nuovi casi riportati dal bollettino quotidiano, emerge che negli ultimi 21 giorni i nuovi casi sono stati 40.001.

L’orizzonte dei 21 giorni non è casuale, perché quello è il termine dopo cui – secondo la circolare del ministero adottata dal 12 ottobre – si viene automaticamente considerati guariti anche senza tampone negativo, se negli ultimi 7 giorni non si sono più manifestati sintomi. Per arrivare a 49.038 infezioni, bisogna invece sommare i casi degli ultimi 26 giorni. Certo una quota di questi «long Covid» potrebbe avere ancora i sintomi, ma è anche vero che nei bollettini quotidiani tra i casi di giornata sono inclusi anche i tamponi di controllo con esito positivo (il primo tampone di controllo viene in genere eseguito 10 giorni il test che accerta il contagio): dunque, nell’arco di 21 giorni tra i «nuovi casi» possono in realtà essere conteggiate più volte le stesse persone.

Sulla «solidità» di questi dati ha chiesto spiegazioni ieri Niccolò Carretta, consigliere regionale di Azione durante la Comissione sanità che si è riunita a Palazzo Lombardia. Ha risposto Letizia Moratti, assessore al Welfare: «Confermo la correttezza dei numeri. Faccio anche riferimento alla consolidata letteratura internazionale, secondo cui in media i ricoverati rappresentano il 10% dei positivi».

Ma la stima, aderendo a questa prospettiva, non tornerebbe: i ricoverati a mercoledì in Lombardia erano 3.950, quindi la proiezione degli attualmente positivi s’attesterebbe a circa 40 mila unità, una quota in linea proprio col totale dei contagi degli ultimi 21 giorni, mentre gli attualmente positivi sono appunto circa diecimila in più, secondo i dati della stessa Regione.

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