«Diego, una vita spesa ad aiutare gli altri»
Lutto per il tecnico del 118 morto per il virus

Diego Bianco, 46 anni, non aveva altre patologie. Contagiato dal coronavirus, nove giorni fa i primi sintomi, poi la scorsa notte l’improvvisa crisi respiratoria. La moglie: «Mi ha detto: “Torna a letto, tanto non muoio”. Due ore dopo se n’è andato».

«Vai a dormire, cara, tanto non muoio, devo solo trovare la posizione per riaddormentarmi», le ha sussurrato. «Perché, pensi di morire?», gli ha chiesto lei, con quel tono tra l’ironico e il materno di chi vuole sdrammatizzare ma non riesce a nascondere un’ombra di preoccupazione. «No», le ha risposto lui. «Non farmi questo scherzo, eh?», gli ha sorriso lei prima di tornare nell’altra stanza.

Erano le 3,30 della notte tra venerdì e ieri, e questo è stato il tenerissimo addio tra un marito e una moglie ai tempi del coronavirus. Perché quando Maruska Capoferri, due ore più tardi, è tornata a controllare, Diego Bianco, 46 anni, stava già cominciando ad andarsene. Crisi respiratoria improvvisa, acutissima, poi arresto cardiaco. «Era tardi, troppo tardi - racconta al telefono la donna, che è volontaria della Croce Rossa di Seriate -, gli ho praticato il massaggio cardiaco. Ho chiamato aiuto, una vicina di casa infermiera è accorsa, mi dava il cambio in attesa dei soccorsi. Ho telefonato alla centrale operativa, gli operatori sono stati bravissimi, mi hanno dato indicazioni, spronato, fino a che, una ventina di minuti più tardi, sono arrivati l’ambulanza e l’elicottero. Hanno cercato di intubarlo, non si sono tirati indietro. Ma non c’è stato nulla da fare. È stato strano telefonare alla centrale e spiegare che era uno di loro a dover essere soccorso. Hanno un po’ faticato a realizzare, perché di solito stanno sempre dall’altra parte, dalla parte di quelli che aiutano, non di quelli che hanno bisogno».

Una vita passata ad aiutare

Ecco, Diego Bianco era uno di quelli che aveva speso la vita ad aiutare. «Era la sua missione», confida Maruska. Si erano conosciuti una quindicina d’anni fa durante i turni da volontari alla Cri di Seriate. Poi si erano sposati, erano andati a vivere a Montello e avevano avuto un figlio, Alessio che ora ha 7 anni. Diego all’epoca lavorava come conducente di ambulanze alla Casa di riposo di via Gleno a Bergamo, poi era passato all’allora azienda ospedaliera Bolognini di Seriate, autista del direttore generale Amedeo Amadeo. Che adesso lo ricorda così: «Un ragazzo d’oro, straordinario. Sono affranto. Già all’epoca sognava di rendersi utile come operatore del 118 e alla fine ce l’aveva fatta».

Già, perché dopo un’esperienza all’ospedale di Treviglio, Diego nel 2013 aveva vinto il concorso ed era entrato a far parte come operatore tecnico della sala operativa regionale emergenze e urgenze Alpina (coordina gli interventi di Bergamo, Brescia e Sondrio), che ha sede all’ospedale Papa Giovanni. Rispondeva chiamate smistate dal 112 e decideva quale mezzo inviare e con quale codice. Ma il nuovo lavoro prevedeva anche turni sulle ambulanze, l’incarico prediletto da Diego, che da quando era stato assunto alla centrale operativa aveva dovuto dire addio per incompatibilità al volontariato alla Cri. «E per compensare la voglia di aiutare sul campo - racconta la moglie -, era entrato nella Protezione civile, fino a diventare due anni fa capogruppo della sezione di Montello e Costa di Mezzate».

L’ultimo turno sull’autolettiga - trascorso senza uscite - a Ponte San Pietro, la notte del 23 febbraio scorso, poche ore dopo che il coronavirus si era prepotentemente presentato nella Bergamasca. Il 46enne comincia a stare male una dozzina di giorni più tardi, il 6 marzo, dopo la notte trascorsa alla centrale. Malessere, tosse, febricciattola, che il giorno successivo era salita a 38,5°. C’erano già stati casi di colleghi malati, la sala operativa - dove lavorano a turno anche medici e infermieri che operano sulle ambulanze - nei giorni scorsi aveva addirittura chiuso mezza giornata per essere sanificata, con le chiamate che erano state dirottate alle altre due centrali regionali.

«Pensavamo a un’influenza»

«Pensavamo a un’influenza normale - osserva Maruska -, ma forse Diego se lo sentiva di aver contratto il virus, perché aveva passato i suoi ultimi giorni al lavoro a rispondere alle chiamate di gente contagiata che esponeva i propri sintomi. Mercoledì 11 gli hanno fatto il tampone, venerdì 13 è arrivato l’esito: positivo. Dormivamo in stanze separate sin dall’inizio dei sintomi. Io, dopo l’esito del tampone, gli avevo già preparato la borsa per il ricovero in ospedale. Ma sapevo che lui non voleva andarci, perché non avremmo più potuto avere contatti».

Diego Bianco non fumava, non beveva, non è mai stato affetto da altre patologie. «Il nostro medico di base credo non lo conoscesse nemmeno», rimarca la moglie. Se n’è andato all’improvviso, durante quella che all’inizio sembrava un’influenza. «Non lo avrei mai immaginato», sospira Maruska, che nel giro di poche ore s’è trovata a piangere sulla bara del marito. Non ti preoccupare, torna a dormire, sono state le sue ultime parole. «Col senno di poi, voglio pensare che sia stato il suo modo di dirmi addio».

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