Edoomark: «Educare
alla tecnologia è possibile»

Intervista ad Alberto Pellai: è medico, psicoterapeuta e ricercatore al dipartimento di Scienze Bio-Mediche dell’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di prevenzione in età evolutiva, oltre che autore di molti bestseller per genitori, educatori e ragazzi.

Lo abbiamo intervistato sul rapporto tra nuove generazioni e tecnologia.

Dottor Pellai, gli strumenti tecnologici possono modificare le modalità di apprendimento e di relazione come le abbiamo conosciute per secoli?

«Sicuramente gli strumenti tecnologici non sono come una lavatrice o una lavapiatti. Se il mio migliore amico ha in mano uno smartphone e cerco di dirgli la cosa per me più importante al mondo, facilmente il suo impegno a rispondere a una chat, rende invalido il mio tentativo, mortificandomi. Questo esempio per dire che questi strumenti hanno il potere di impattare i contesti relazionali e hanno una ricaduta molto forte sulle nostre vite».

È possibile «educare» alla tecnologia? Se sì, in che modo?

«Educare alla tecnologia è possibile, bisogna imparare a usare gli strumenti, capire a cosa servono. Si educa a un buon uso della tecnologia. Non è sufficiente sapere cosa si può fare, ma anche come: ad esempio come si costruiscono buone relazioni. La tecnologia può essere usata a fini sociali. In alternativa si parla di diseducazione che può portare a fenomeni come il cyberbullismo. Si deve educare alle I-skills, nella on-life life».

Suddividendo le varie fasce d’età, quali sono le possibilità offerte dall’uso di apparati tecnologici e quali i limiti? Per bambini? Per i preadolescenti? Per gli adolescenti?

«Con gli apparati tecnologici si può intrattenere, divertire e imparare. Queste stesse azioni possono avere una connotazione positiva o essere fatte in modo negativo. Per ogni fascia d’età ci sono apprendimenti e divertimenti adeguati.

Nella fascia 0-6 non c’è bisogno di uno schermo, quindi la fruizione e il palinsesto sono gestiti dagli adulti, chiamati a prestare molta attenzione.

Nella fascia 6-10 vediamo come l’utilizzo della Lim (lavagna interattiva multimediale) amplifichi le potenzialità di apprendimento. Deve esserci una strategia da parte degli adulti, poiché i minori in auto gestione possono cercare cose di cui non hanno bisogno, per non dire dannose.

Dai 9-10 anni dentro l’on-line si iniziano a creare i bisogni relazionali/affettivi. Questa è la dimensione più pericolosa. Si tratta di un approccio difficile nel mondo reale, figuriamoci nel virtuale».

Quando possiamo affermare che l’uso di apparecchi tecnologici diventi una dipendenza? È solo una questione di misura, cioè di «tempo di utilizzo», di quanto se ne fa uso?

«Dipende dalla concreta esperienza del fruitore. Se il benessere viene dato dall’oggetto/esperienza, non si ricerca altro, si investono tutte le proprie energie in esso, allora si parla di dipendenza. Nell’età evolutiva invece è importantissimo cercare e variare le esperienze, affinché gli apprendimenti siano stimolanti e variegati».

Fino a che punto la tecnologia può aiutare nell’apprendimento, nella scuola?

«L’online dentro a un progetto educativo, con obiettivi formativi espliciti e la supervisione di un adulto è sicuramente una risorsa e una possibilità. La scuola diventa il luogo dove questo si manifesta. Importante è l’empowerment di gruppo che agisca per le migliori esperienze e contrasti quelle negative».

Se le chiedessimo una risposta secca: la tecnologia ci imprigiona o ci rende più liberi?

«Per la mia esperienza di psicoterapeuta, rispondo effetto prigionia».

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