Francesco e gli abusi
La lettera del dolore

È una lettera drammatica e senza precedenti quella che ha scritto ieri il Papa al «Popolo di Dio» senza distinzione alcuna. È una lettera dolorosa per tutti perché spiega che nessuno può chiamarsi fuori da una vicenda terribile che mette angoscia, nessuno è assolto e tutti siamo coinvolti. Anche il Papa. Insomma ci riguarda come Popolo di Dio. Bergoglio va oltre le parole di Benedetto XVI e spiega che tutto il Popolo di Dio deve provare «vergogna» e non solo il Papa. Joseph Ratzinger sull’aereo che lo portava negli Stati Uniti dieci anni fa interrogato sullo scandalo della pedofilia rispose secco: «Io mi vergogno».

Adesso Jorge Mario Bergoglio spiega che non è più sufficiente circoscrivere le responsabilità e andare oltre, che non bastano denuncie e punizioni, commissioni speciali e tribunali. C’è altro e ben più dannoso. C’è una mentalità che va cambiata con una profonda riflessione sulla tragedia, altrimenti le cose non cambieranno e ci sarà sempre qualcuno che approfitterà dell’innocenza e della coscienza dei più deboli , siano essi bambini o adulti, uomini o donne.

Francesco usa una parola pesantissima per denunciare la responsabilità collettiva e dunque non solo di quelli che si sono comportati da padroni. Parla di complici, non solo quelli che hanno preso parte con altri all’azione criminosa, ma anche coloro che l’hanno favorita girando la testa dall’altra parte oppure spiegando che non solo nella Chiesa accadono fatti del genere, invitando a guardare anche altrove, stabilendo una sorta di par condicio dell’orrore che alla fine assolve tutti. Quante volte abbiamo sentito vescovi e letto documenti di Conferenze episcopali sostenere questa tesi.

Nella Lettera al Popolo di Dio Bergoglio smonta ogni tentativo di autoassoluzione, cancella perimetri di colpe. Spiega con una chiarezza straordinaria che l’abuso sessuale è abuso di potere. Un crimine, oltre che un peccato. Anzi uno dei risultati dell’abuso di potere, il più infame, il più scellerato. L’abuso di potere porta a sentirsi proprietari della verità, ad erigersi comunque a giudici dei comportamenti e dei pensieri altrui. Nella Chiesa si chiama clericalismo e colpisce indistintamente chierici e laici. Non è un ragionamento nuovo. Bergoglio lo va dicendo da cinque anni. Quando ha citato la riflessione del cardinale Joseph Ratzinger sulla «sporcizia nella Chiesa» ha aggiunto parole che di solito vengono tralasciate e che invece il cardinale e poi Papa-teologo riteneva cruciali: «Quanta superbia, quanta autosufficienza!». Ancora il potere e il suo uso deformato. Bergoglio ieri ha spiegato che chi si comporta in questo modo è colpevole di tradimento del Vangelo, perché continua a recitare il Magnificat, il canto della speranza dei piccoli, degli umili, dei reietti, ma poi smentisce con il suo comportamento ciò che ha appena recitato.

Sotto accusa va la doppia vita dei cristiani, che non è solo quella degli orchi criminali in talare. Quante volte il Papa ha ripetuto «questo non è cristiano», riferendosi agli immigrati, all’economia che uccide, alla difesa integrale della vita? Quanti abusi sono stati compiuti da chi si ritiene padrone del Vangelo e della coscienza, membro eletto di una gerarchia ecclesiastica che pensa di poter normalizzare il Vangelo? È per questo che il tradimento dei chierici è considerato più grave. Ma altrettanto grave è la colpa di chi ha taciuto, di chi sapeva e non ha parlato. C’è un caso cruciale nella vicenda degli abusi che ne dà la misura, quello del fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel. Se non fosse per Joseph Ratzinger oggi dove sarebbe padre Maciel? Tutto sapevano, anche in Vaticano, ma tacevano. Anzi ne tessevano le lodi, laici e prelati. E chi ha osato parlare è stato emarginato nella Chiesa o accusato di falsità. Il cambio di passo va a merito di Benedetto XVI. Francesco adesso aumenta la posta. Tutti dobbiamo cambiare per «rispondere a questo male».

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