Krizia, la sua Bergamo mai dimenticata
«Amavo le Mura: lì mi sentivo al sicuro»

Nata e vissuta in Città Alta, la stilista scomparsa domenica sera 6 dicembre all’età di 90 anni, non ha mai dimenticato le sue origini ed era molto legata alla città.

«Ogni giorno quando a Milano, da ragazza, finivo di lavorare, pensavo a mia madre ed era come se le dicessi: “Ecco mamma, non ho più energia, e quindi vuol dire che ho fatto il mio dovere”». Questo ricordo di Mariuccia Mandelli, in arte Krizia, è di Claudia Sartirani che diversi anni fa ha avuto l’occasione di incontrarla e di parlarci. Un ricordo che ben racconta il personaggio, tenace e volitivo, lontana da Bergamo per lavoro e «adottata» da Milano dove la sua moda ha preso forma.

Senza mai però dimenticare le sue origini: nata e vissuta in Città Alta, la sua era una famiglia benestante. Il papà era un noto commerciante di granaglie, Mariuccia ha studiato in un collegio di suore francesi e a 19 anni è stata costretta a usare il suo diploma di maestra per guadagnarsi da vivere, con supplenze anche in casa a causa di un investimento sbagliato in famiglia. La moda, però, c’è sempre stata se si pensa che fin da piccola si infilava nell’appartamento della sarta vicina di casa per confezionare gli abiti delle bambole. È questa la Bergamo che Krizia non ha mai dimenticato: «Mi ha donato il mio senso estetico e mi capita spesso di tornarci e di passeggiare sulle Mura, in tranquillità» aveva rivelato qualche anno fa. Senza mai perdere le sue origini: «Bergamo è una città superba, in particolare Città Alta, con le sue alte mura. Da bambina mi dava l’impressione di essere al sicuro, molto protetta. Adoravo giocare dentro la torre della Rocca, che era un po’ il mio castello personale». Tra ricordi, sogni e miti infantili: «Con mia sorella giocavamo a fare le signore - ha raccontato una volta la stilista bergamasca - e io amavo creare abiti per le mie bambole. È stata la sarta a convincere mia madre a lasciarmi fare questo mestiere: la mia vocazione è nata a Bergamo».

I ricordi continuano: «Molti anni più tardi, una sera di Natale - aveva raccontato Krizia a “Le Figaro” diversi anni fa - parlavo con lo scrittore Dino Buzzati. Gli raccontavo la storia della sartoria, del fatto che mi piaceva giocare vestendo i panni di un’albergatrice, a volte calandomi nel ruolo di sceneggiatrice per piccole pièce teatrali scritte con l’aiuto di un colto amico di famiglia. Mi sono resa conto che oggi sono una creatrice di moda, che ho un hotel ai Caraibi e che c’era un teatro nei miei uffici di Milano». Insomma, dalle invenzioni fantastiche di bambina alla vita reale, quella di una donna che ha seguito sempre la sua strada, capace di fare scelte, «nella libertà di poter decidere». Fino all’ultimo, quando nel 2014 ha venduto il suo marchio a un colosso della moda cinese: «Ho deciso per un motivo ben preciso: dare un seguito al mio lavoro e ho avuto diverse possibilità di scelta, ma l’incontro con Zhu Chongyun e l’intesa con questa donna sono stati determinanti» aveva spiegato.

Ma il nome Krizia resterà sempre legato al suo sguardo: agli occhi profondi, il caschetto senza sbavature, gli anelli importanti, l’eleganza aristocratica. Ora ci mancheranno i suoi animali proposti e sempre riaggiornati sulla maglieria, le sue geometrie, i tagli netti e quell’uso dei plissé che con vigore ha portato alla ribalta negli ultimi anni. Ci mancherà anche la sua determinazione, le sue risposte tranchant. «Dove trovo l’ispirazione? Dalla mia testa. Ho sempre seguito il mio istinto e non ho mai avuto un modello a cui ispirarmi» ha risposto una volta.

Acuta e mai scontata, ha scardinato il sistema moda negli anni Settanta e Ottanta con curiosità, perchè credeva in una donna volitiva e avventurosa. Come quando ha deciso di riporre in un cassetto il diploma da maestra e ha preso in prestito il suo «nuovo nome» da uno dei dialoghi di Platone sulla vanità. Krizia, ma soprattutto «Crazy Krizia»: lei lo amava quel soprannome, perchè credeva in una moda senza peli sulla lingua: «Però nel nostro sistema manca da sempre la coesione di intenti, è un mondo di individualisti» aveva detto in occasione della vendita della griffe.

Nella sua ultima sfilata, lo scorso anno, non era dietro le quinte: «Le miei creazioni parlavano da sole: non avevano bisogno di me, ho dato spazio a loro» aveva spiegato così la scelta. Succederà anche ora, e il suo nome resterà collegato a un made in Italy volitivo e ribelle, ad anni appassionati di ricerca e di voglia di cambiamento. Qualche anno fa le fu chiesto: cosa direbbe a Mariuccia alle prime armi? La sua risposta è la sua eredità: «Di rifare tutto. E direi a ogni donna alle prime armi di lavorare tantissimo». Guardando sempre avanti.

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