La Bergamasca ha perso un paese
Tutti i dati dell’allarme demografico

Vi proponiamo un articolo interattivo con tutti i dati dell’allarme demografico in provincia di Bergamo. In dieci anni la crisi delle nascite ha portato un calo di 2.673 nuovi nati.

Le statistiche Istat sono come un bollettino di guerra. L’ultimo report è impietoso: «La natalità ha stabilito un nuovo record al ribasso nella storia del Paese», il «saldo naturale (nascite meno decessi) registra nel 2016 un valore negativo (-134 mila) che rappresenta il secondo maggior calo di sempre dopo il 2015», «al 1 gennaio 2017 i residenti in Italia hanno un’età media di 44,9 anni, due decimi in più rispetto alla stessa data del 2016». E soprattutto: «La caduta della natalità in otto anni ha registrato un salto che equivale a 100 mila nati in meno (-18% tra il 2008 e il 2016)».

La provincia di Bergamo non fa eccezione. Le culle sono vuote. Negli ultimi dieci anni la Bergamasca è passata dagli 11.375 nati del 2007 agli 8.702 dello scorso anno: 2.673 nati in meno. Come prendere un Comune grande come Cenate Sopra o Cavernago e cancellarlo dalla cartina. Un altro dato preoccupante riguarda il saldo naturale, cioè la differenza tra nascite e decessi, ora negativo dopo almeno un decennio di segno più: -701 nel 2015, -198 nel 2016.

I veri buchi neri sono nelle valli. Nel corso del 2016 in molti paesi non è stato appeso nemmeno un fiocco, né azzurro, né rosa: zero ad Averara, Carona, Cassiglio, Fuipiano Valle Imagna, Isola di Fondra, Oltressenda Alta, Ornica, Piazzatorre Roncobello. Un solo nato ad Aviatico, Brumano, Moio de’ Calvi, Taleggio, Valnegra, Vedeseta, Blello, Cusio, Foppolo, Mezzoldo, Parzanica, Piazzolo, Valleve. Con tre nati in dodici mesi è festa a Valtorta, Santa Brigida, Oneta, Costa Imagna, Costa Imagna, Cornalba, Camerata Cornello, Branzi e Azzone. Non meno preoccupante il dato relativo alla città, se confrontato con le nascite di 15 anni fa. Nel 2002 i nuovi nati a Bergamo erano 1.074, in tutto il 2016 solo 887. Ci sono però anche segnali positivi, ma pochi: non perdono, anzi crescono Treviglio (+41 nati rispetto a 15 anni fa), Seriate con +27 e Romano di Lombardia con +31. Solo eccezioni, barlumi di speranza in un quadro complessivo desolante.

LA MAPPA DEI NUOVI NATI

La questione territoriale si spiega con la crisi storica di alcune realtà delle valli bergamasche. I giovani rischiano l’isolamento in un mondo che va a mille all’ora, in coda perenne verso opportunità di lavoro difficili da trovare. Condannati a fare i conti con due macigni che condizionano lo sviluppo: invecchiamento demografico e divario economico tra giovani e anziani.

La sovrapposizione tra la percentuale di pensionati, età media, redditi e posti di lavoro offerti dalle aziende rivela le aree destinate a una decrescita poco felice. Qualche esempio, dati alla mano. Mezzoldo, in Valle Brembana, è il Comune con l’età media più alta (53,4 anni), il 43,5% dei 168 abitanti totali è in pensione, il reddito medio è di 17.162 euro, i posti di lavoro sul territorio comunale sono 28. Nella zona non è un’eccezione negativa: Averara ha la percentuale più alta di pensionati di tutta la provincia di Bergamo, 54,61% (più di un abitante su due), il reddito medio è 14.185 euro, i posti di lavoro solo 38. E i dati di Carona, Cusio, Piazzatorre e tanti altri Comuni della Valle Brembana non sono molto distanti. È l’area della provincia colorata di profondo rosso in quasi tutte le mappe delle statistiche più critiche.

IL SALDO DEMOGRAFICO DEGLI ULTIMI ANNI

Solo un forte attaccamento alle origini può trattenere un giovane dall’emigrare in un altro Comune, magari più vicino alla città. Cavernago, a pochi chilometri da Bergamo, sembra essere una delle mete preferite. Ha l’età media più bassa di tutta la Bergamasca, 38,19 anni, la percentuale di pensionati più bassa (18,05%), un reddito medio di 20.204 euro. Offre vantaggi territoriali e lavorativi, perché ben collegato all’aeroporto e alla città, e l’amministrazione comunale sta facendo di tutto per renderlo un Comune a misura di famiglia: investimenti per scuole materne e asili nido, potenziamento dei servizi culturali come la biblioteca, nuovi parchi.

L’eccezione che può diventare caso di studio sono alcuni paesi in Valle Seriana, come Rovetta. Pur essendo un Comune montano, ha un’età media di 42,59 anni (sotto la media dell’intera provincia: 43,1), i pensionati sono il 26,05% della popolazione e soprattutto non ha avuto un crollo netto delle nascite, anzi sono aumentate rispetto al 2002: 32 allora, 39 oggi. Numeri piccoli, ma pur sempre un segnale positivo. L’impatto del lavoro sul territorio può avere inciso? Sembra di si, visto che gli addetti in un solo anno, dal 2017 al 2018, sono aumentati da 879 a 942 (+63). Nuovi abitanti? Sì, il saldo migratorio, cioè la differenza tra immigrati ed emigrati, è di +52. Bastano questi due fattori? Sono importanti, anche se serve altro per invogliare i giovani a restare. I prezzi accessibili delle case, spostamenti veloci, servizi come scuole, banche, poste, associazioni sportive. Tutto quello che la montagna - L’Eco di Bergamo ne scrive ogni giorno - fatica a trattenere.

In Francia ne sanno qualcosa e da decenni hanno messo in campo strumenti per evitarlo con solide politiche sociali che hanno portato risultati e prospettive più incoraggianti rispetto al caso italiano: incentivi fiscali (soprattutto dal secondo figlio in su) e servizi per sostenere l’occupazione delle neomamme, ad esempio con la possibilità di iscrivere i bimbi all’asilo al secondo mese di vita (il 40 per cento dei bambini francesi sotto i due anni viene affidato a servizi per l’infanzia). Lo stesso vale per la Germania, dove l’immigrazione e le condizioni economiche hanno portato a un più 7% di nascite in più in un solo anno, dal 2016 al 2017. L’Italia invece non dà risposte alle domande delle giovani coppie. Le politiche per il sostegno alla natalità sono frammentarie e soprattutto non strutturali, affidate spesso alle Regioni in assenza di misure nazionali. Il bonus bebè non basta, lo dimostrano i numeri, e i servizi per la prima infanzia sono insufficienti, quasi sempre costosi. Le future mamme temono di perdere il posto di lavoro.

Un allarme economico, fiscale e soprattutto culturale, che nell’agenda politica non entra nemmeno come postilla. Solo lo Stato, e a cascata tutte le istituzioni fino a quelle prossime ai cittadini, possono invertire la rotta con una decisa risposta al grido, ora inascoltato, lanciato dai territori come la Bergamasca.

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