La pressione fiscale sale
Le famiglie risparmiano

Nei primi sei mesi dell’anno la pressione fiscale è salita, portandosi tra aprile e giugno al 40,5%. Si direbbe che ne ha beneficiato il deficit, visto che è ai minimi dal 2000, guardando sempre alla prima metà del 2019. Intanto le famiglie reagiscono mettendo il freno ai consumi e convertendo in risparmi il reddito che rimane.

Almeno, in questa fase di bassa inflazione i guadagni non sono erosi dai prezzi, a tutto vantaggio del potere d’acquisto. Questo il bollettino dell’Istat sullo stato di salute delle finanze pubbliche e familiari. Ma non finisce qui l’Istituto ha anche rivisto il Pil, che non è rimasto fermo ma è cresciuto, anche se non si va oltre lo 0,1%. L’andamento del Pil non riesce però a tenere a bada il peso di tutte le tasse e le imposte. Dopo il deciso rialzo del primo trimestre la pressione ha infatti continuato a salire a paragone con il 2018. (+0,3 punti tra aprile e giungo e +0,5 nei primi sei mesi). Non a caso le entrate nelle casse pubbliche sono aumentate più delle uscite.

Una mano, lo sottolinea lo stesso Istat, è giunta anche dal rialzo dei dividendi. È così che l’indebitamento netto si fa più leggero: 1,1% nel trimestre e 4,0%, sempre in rapporto al Pil, nel semestre. Cifra che non deve spaventare (l’obiettivo italiano è il 2,2%) visto che i mesi che seguiranno saranno «fisiologicamente» in miglioramento. Lato famiglie, non ci si può lamentare se si guarda al reddito: +0,9% in tre mesi. E il dato reale è identico a quello in euro (staticamente detto valore nominale). L’inflazione allo zero virgola non intacca la ricchezza ma allo stesso tempo non è un segnale del tutto positivo per l’economia.

Le associazione dei consumatori lo sottolineano. Il Codacons mette in guardia da quella che considera «un’illusione ottica». L’accelerazione della crescita del potere d’acquisto (era allo 0,3% nel trimestre precedente) non si tramuta in ripresa se poi la spesa resta al palo. È il ragionamento. E in effetti i consumi salgono appena dello 0,1%.Un quadro che riaccende lo spirito da «formiche» che da sempre connota gli italiani: la propensione al risparmio sale di 0,8 punti.

Nel frattempo note negative arrivano dal fronte aziendale, dove la quota di profitto scende al 40,7% un nuovo minimo. Almeno però si rialza, pure se di pochissimo, il tasso di investimento. Ed è proprio da qui, dagli investimenti, che proviene la spintarella che ha portato il Pil sopra la soglia zero nel secondo trimestre.

La prima stima dava un’economia immobile, invece, grazie alla revisione dell’Istat, ora si scopre che il Paese ha messo in fila tre segni più. Certo, sempre allo 0,1%, ma anche la recessione tecnica, che non sparisce, si è spostata indietro di un trimestre: non più a fine 2018 ma nel mezzo. Soprattutto viene fuori che la crescita già messa in cascina, tecnicamente acquisita, per l’anno in corso è un decimo di punto sopra lo zero. Tradotto: non si scende da lì, pure in presenza di un Pil piatto per il resto del 2019.

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