L’Ordine dei medici di Bergamo:
«Indispensabile la patente di immunità»

L’intervento di Marinoni: «Per ripartire dobbiamo testare tutti. Sarà come realizzare una grande opera».

Sulla ripartenza, più ipotesi che certezze: quando inizierà la cosiddetta «fase 2» ancora non è chiaro. Ma, per dirla coi medici, il quando – in questo ragionamento – conta poco. Conta, invece, il come. «E c’è una sola strada. Una e obbligata. Si può ripartire solo quando i lavoratori saranno stati, tutti, testati negativi al coronavirus. O si fanno indagini a tappeto, o non ne usciamo più». Il presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo Guido Marinoni non ci gira intorno: «Capiamoci bene: se facciamo un passo falso, rimandando al lavoro chi può potenzialmente infettare, siamo finiti. Ci ricaschiamo. Con l’aggiunta, però, che oltre ai decessi questa volta andiamo incontro anche alla carestia». Sono giorni che Marinoni picchia duro, e lo fa sostenendo che non basta più la quarantena. Detta meglio: non bastano le due settimane «canoniche» dalla scomparsa dei sintomi a garantire la negativizzazione dei cittadini. «La guarigione clinica non è abbastanza. Ci sono persone che rimangono positive, e quindi potenzialmente contagiose, per un periodo di tempo più ampio. E quindi, diciamolo: ha ragione il presidente del Veneto Zaia. Serve una patente di immunità».

La platea che aspira a questa patente è, potenzialmente, vastissima. Anche, o forse soprattutto, nella Bergamasca. «Siamo sull’ordine di centinaia di migliaia di bergamaschi, tanti quanto sono i nostri concittadini che hanno contratto il virus in varie forme, trascorrendo la malattia fra le mura di casa, senza essere mai stati sottoposti a tampone». Persone per le quali, quindi, non vale il percorso dei ricoverati: cioè due tamponi a 14 e 16 giorni dalla dimissione, per capire se si sono negativizzati. E senza questa certezza, nessuno può dirsi innocuo. Eppure a sentire la tesi di Marinoni, c’è già chi rintuzza: come si può garantire indagini a tappeto su centinaia di migliaia di bergamaschi, prima della ripartenza?

Non sono stati fatti tamponi agli ammalati nel pieno della crisi, figuriamoci a chi – ormai – di sintomi non ne ha più. «Forse non è chiaro il concetto: o l’indagine a tappeto, magari sfruttando test rapidi, viene fatta o nella nostra provincia non ne usciamo. Servirà un grande sforzo organizzativo, vista la mole di persone che dovranno sottoporsi. Ma è essenziale iniziare ad organizzarci ora, coinvolgendo oltre che le autorità sanitarie anche i rappresentanti d’impresa, per capire come dividere i lavoratori da testare e con quali categorie cominciare. La gestione sarà mastodontica». La gestione ma, qualcuno fa notare, pure le risorse da mettere a disposizione: «Quanto costerà l’operazione test è del tutto irrilevante. Il problema economico è nullo. Lo ribadisco: nullo. Dobbiamo considerarlo alla stregua di una grande opera, come fosse la ricostruzione del ponte Morandi. Anzi: testare tutti i lavoratori prima della ripartenza è ancora più importante che rimettere in piedi il ponte Morandi. I fondi vanno trovati».

«Non solo ai lavoratori»

E le considerazioni di Marinoni trovano sponda nel segretario regionale di Fimmg, il sindacato dei medici di famiglia, la bergamasca Paola Pedrini: «Vado oltre a quello che dice Marinoni. Prima di ripartire, servono test non solo per i lavoratori, ma anche per tutti coloro che si reimmettono a vario titolo nella vita sociale. Sono tutte categorie a rischio contagio. Deve essere chiaro che non stiamo chiedendo una campagna di massa di test per fare diagnosi: ormai la facciamo in autonomia basandoci sui sintomi. La stiamo invocando per individuare con certezza chi non è più contagioso, prima di autorizzarlo a ritornare alla vita di tutti i giorni, o quasi».

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