«Mi senti?» Colloqui a cielo aperto
detenuti-parenti fuori dal Gleno - Video

«Ah Beppe, me sentiii?». «Sì, te sento». «Te vojo beneee, amò». Colloquio surreale ai margini della città. Di là l’alveare dei detenuti, di qua un campo di rovi e un prato spelacchiato. In mezzo una barriera metallica. Limite invalicabile. Ma non per le voci.

Quella di un carcerato e quella di un familiare. Via Daste e Spalenga: il «parlatorio all’aperto» è qui, dove scorre la roggia Morlana, fra uno scroscio di acque e il rumore di un’auto che corre sull’acciottolato. La scena si ripete, senza una data e un’ora precisa, ma più spesso nei weekend.

Chi abita nelle vicinanze ormai quasi non ci fa più caso. Per chi passa in bici o lancia uno sguardo incuriosito dal finestrino dell’auto non è una sorpresa. In loro, la normalità ha preso il sopravvento. Succedeva e forse succede ancora in altre latitudini carcerarie, dall’Ucciardone a San Vittore, a Regina Coeli, ma al Gleno quelle voci urlate di madri e fidanzate, bambini e amici dei carcerati, hanno decibel mai avvertiti prima.

Gli agenti di polizia penitenziaria chissà se lo sanno, ma i carcerati - dovrebbero essere quelli della settima sezione - sono accorti per non farsi sorprendere. La pratica non è lecita, anzi è vietata.

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