«Minacciò il capo della Digos»
Ecco spiegata la sorveglianza speciale

Sono due le denunce che hanno indotto la questura a chiedere la sorveglianza speciale per Claudio Galimberti, detto «Bocia», 42 anni, leader della Curva Nord (il Tribunale deciderà sulla richiesta in un’udienza a porte chiuse, il 4 febbraio).

Secondo le accuse l’8 ottobre scorso il capo ultrà avrebbe preso a schiaffi un giovane che lo aveva rimproverato, dopo averlo sorpreso a imbrattare un muro in Borgo Santa Caterina con la scritta «Digos infami».

Con l’assalto ultrà di sabato scorso al pullman degli interisti il Bocia non c’entra (non è fra gli accusati), ma un altro episodio risalente ai mesi scorsi si è tradotto in guaio giudiziario per il leader della Curva. La sera del 5 settembre 2015, fresco di notifica di un nuovo Daspo quinquennale per il «caso porchetta», mentre al Comunale l’Atalanta giocava per il trofeo Bortolotti il Bocia si presentò in questura spalleggiato da un centinaio di ultrà. A quanto pare non ci fu solo un sit-in di protesta: si è appreso infatti che Galimberti (stando alle accuse) entrò in questura arrabbiatissimo, minacciando e insultando il dirigente della Digos, Giovanni Di Biase. Comportamento che gli è costato una denuncia per minacce aggravate e oltraggio a pubblico ufficiale.

Il problema non sono le denunce di per sé, ma l’«avviso orale» che nel mese di giugno il Bocia aveva ricevuto dal questore Girolamo Fabiano. Si tratta di una misura blanda che, semplificando, consiste in un invito da parte dell’autorità a mettere la testa a posto. Chi disattende l’avviso, però, rischia di subire un provvedimento più duro: quello della sorveglianza speciale.

Ma cosa è la «sorveglianza speciale»? Si tratta di una misura di prevenzione riservata, di norma, alle persone ritenute «pericolose per la sicurezza», che implica pesanti restrizioni della libertà personale come il ritiro di patente e passaporto, l’obbligo di rimanere a casa la sera dopo una certa ora e la notte, il divieto di frequentare pregiudicati, l’invito a non frequentare abitualmente determinati locali o riunioni pubbliche, fino al divieto (o all’obbligo) di dimora in un determinato Comune, riservato ai casi più gravi. Il tutto per un periodo da uno a cinque anni. La richiesta di sorveglianza speciale dovrà ora passare al vaglio di tre giudici.

Su L’Eco di Bergamo del 21 gennaio due pagine di approfondimenti

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