Mondiali, la Francia trionfa sulla Croazia
Ci resta quel bimbo salvato dal pallone

Il bellissimo post dello scrittore e blogger di montagna Emilio Previtali sul centrocampista della nazionale croata, Luka Modric.

«Ci sono cose che certe volte lo sport riesce a fare che nella norma riescono solo alla grande letteratura. Certi campioni a volte, con naturalezza, semplicemente raccontandosi per quello che sono, riescono a farci saltare al di là del muro dell’identità individuale e a farci comprendere la loro esperienza interiore». I Mondiali di calcio Russia 2018 si sono chiusi da pochi minuti con la finalissima tra Francia e Croazia che ha diviso il cuore degli italiani, orfani della Nazionale. Il calcio riesce a dare sempre grande spettacolo ma soprattutto a regalare forti emozioni, le stesse che un po’ tutti abbiamo vissuto dando un calcio al pallone da piccoli o osservando i nostri figli affascinati da quella sfera che rotola sotto i piedini. In campo abbiamo fatto sonore litigate ma abbiamo anche giocato insieme dimenticando le reciproche storie e diversità. È forse per questo che sa di poesia il bel post dello scrittore e blogger di montagna Emilio Previtali che riprende la storia di Luka Modric, centrocampista della nazionale croata e del Real Madrid e il suo sogno di bambino.

«È una cosa fantastica. Al fischio finale nella partita di semifinale ho chiuso gli occhi e mi è venuta in mente tutta la mia infanzia, fatta di guerre e mancanza di cibo - ha raccontato Modric dopo la semifinale -. Da piccolo durante il periodo della guerra, fuori l’albergo che ci ospitava come rifugiati, calciavo continuamente il pallone contro il muro. Sognavo di giocare in grandi palcoscenici e di scappare da tutto quello che mi circondava. Volevo diventare un calciatore. Gli altri mi vedevano e mi consideravano uno non sano di mente. Pensare al calcio, in un momento del genere... ma io volevo solo giocare, e avere quel pallone tra i piedi non mi faceva pensare a niente. Finita la guerra mio padre, che nel frattempo aveva trovato lavoro come meccanico per l’esercito, mi iscrisse in una scuola calcio. Nelle giovani dell’Hajduk Split fui rifiutato due volte. Dicevano che non potevo giocare perché ero troppo magro, avevo le ossa troppo piccole. Allora mio padre mi iscrisse alla Dinamo Zagreb. Da quel giorno le cose cambiarono. Oggi sono qui, in finale di Coppa del Mondo con la mia Croazia. Come fai a non piangere?».

Al di là del risultato (4-2 per la Nazionale francese) di questi Mondiali resta la bellezza di un sogno di bambino diventato calciatore che ha indossato la maglia della sua nazione e la speranza che per tutti i bambini, al di là del luogo in cui sono nati, un calcio al pallone porti speranza e un po’ di pace. E che per gli adulti sia il simbolo di un bel calcio alla diversità. «Ci sono cose che certe volte lo sport riesce a fare che nella norma riescono solo alla grande letteratura. Certi campioni a volte, con naturalezza, semplicemente raccontandosi per quello che sono, riescono a farci saltare al di là del muro dell’identità individuale e a farci comprendere la loro esperienza interiore - scrive Previtali –. Per qualche istante avviene una sorta di conversazione intima fra due coscienze ed è questa in definitiva la cosa che lo sport riesce in certe occasioni ad avere in comune con la letteratura: la capacità di farci diventare qualcun altro. Questo sarebbe senz’altro un mondo migliore se noi riuscissimo senza pregiudizi, almeno una volta una ogni tanto, con lo sport o con la letteratura, a sentirci un’altra persona».

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