«Papa Giovanni», dal 2018 via 36 medici
Carnevali: «Un dovere fermare l’esodo»

Il sindacato Anaao-Assomed: tra le cause ritmi di lavoro decisamente elevati. Il direttore sanitario, Pezzoli: «Nessuna fuga, i medici scelgono di lasciare per condizioni economiche migliori nel privato e migliore qualità di vita per la medicina di base». L’intervento della deputata del Pd.

I medici ospedalieri scarseggiano: i concorsi per nuove assunzioni (in Lombardia il turn over è autorizzato fino al 95%), spesso vanno deserti, professionisti che vanno in massa in pensione, altri lasceranno approfittando di Quota 100. Una problematica nazionale, che investe anche l’Asst «Papa Giovanni» di Bergamo, 800 medici assunti, effettivamente in servizio intorno ai 650. Con un numero, però, che accenna a diminuire, perché, oltre ai pensionamenti, ci sono intere «pattuglie» di camici bianchi che optano per strutture private o per la medicina di base.

Il sindacato Anaao-Assomed da tempo sta segnalando il fenomeno e indica anche che tra le componenti che portano i medici a scegliere di lasciare il «Papa Giovanni» c’è anche il non trascurabile fattore «condizioni di lavoro»: «Sia per la carenza cronica di medici, sia per la difficoltà di mettere in atto un buon turn over, sia perché i ritmi di lavoro sono decisamente elevati, c’è più gente che decide di spostarsi altrove», sottolinea Annapaola Callegaro, segretario aziendale Anaao-Assomed ». Le cifre raccolte con uno studio ad hoc di Anaao-Assomed raccontano di non pochi trasferimenti: tra il 2018 e il 2019 (dati fino a settembre) sono stati 36 i medici che hanno deciso di lasciare il «Papa Giovanni».

«Fuga dell’ospedale? Non la metterei proprio in questi termini. In realtà il fenomeno dell’esodo dalle strutture ospedaliere non è una peculiarità del “Papa Giovanni”, il problema esiste in gran parte delle strutture pubbliche. I medici scelgono di lasciare per condizioni economiche migliori nel privato, migliore qualità di vita per la medicina di base, perché non ci sono guardie, turni festivi e weekend da coprire. Inoltre, a quello che sulla carta può sembrare un esodo, si sommano anche i posti lasciati vacanti dalle persone che vanno in pensione o di chi ha approfittato della Quota 100», spiega dal canto suo Fabio Pezzoli, direttore sanitario dell’Asst «Papa Giovanni XXIII».

Sul caso è intervenuta anche la deputata bergamasca del Pd Elena Carnevali: «Fermare esodo dal “Papa Giovanni” è un dovere se non vogliamo mortificare l’alta professionalità degli operatori dell’azienda ospedaliera a discapito dei pazienti e del valore del nostro ospedale. Da giugno, con il cosiddetto “decreto Calabria”, è possibile assumere specializzandi dal 4° anno (per le specializzazioni quinquennali) e 5° anno tramite una graduatoria “parallela” utilizzabile a esaurimento dei concorsi ordinari, impiegabile anche da Regione Lombardia su cui serve l’accordo tra Regione e Università. Accordo che ancora non c’è e che anticipa la formazione in campo, tamponando la cronica carenza di personale. Molte aziende ospedaliere hanno già bandito concorsi ad hoc e attendono questo accordo perché si trasformi in operatività. Per sopperire al blocco del turnover, oggi è possibile incrementare le spese del personale degli enti del Ssn del 5% del fondo sanitario rispetto all’esercizio precedente. Un passettino ma insufficiente. Cosa fare?»

«In linea generale – prosegue la parlamentare – servirebbe eliminazione di qualsiasi tetto lasciando alle Regioni la scelta di investire sul capitale umano in base alle risorse disponibili anche del Fondo nazionale che quest’anno vedrà due miliardi di euro aggiuntivi. Questo in un Paese senza i lacci e laccioli, senza il peso del debito pubblico e convenendo che investire in sanità è motore di sviluppo di maggior salute e fattore di produzione e ricchezza in ricerca, a partire da farmaci innovatici e buona attività clinica. Visto che non è consentito ancora l’eliminazione dei tetti di spesa dobbiamo raddoppiare la possibilità assunzione attuale, nel lasso di tempo da qui a fine anno. Questo si può fare. È inoltre obbligatorio abolire la norma della scorsa legge di Bilancio che da gennaio impedisce di utilizzare la graduatorie concorsuali. Non modificarla significa mettere in ginocchio la già difficile impresa di bandire concorsi pubblici, oltre alla difficoltà di reperire le specializzazioni necessarie. Infine, in questi anni abbiamo sostenuto l’incremento per le borse di specialità arrivando a un totale di 8.905 (di cui 8.000 finanziate dallo Stato) e per medici di Medicina generale pari a 2.093 unità per il triennio 2018-21».

«Non possiamo – conclude Carnevali – che proseguire con l’incremento delle Borse di specialità, visto che oltre 16 mila laureati in Medicina sono sulla porta d’ingresso. Lo Stato investe 125 mila euro per ogni specializzando, Se non vogliamo regalare il nostro patrimonio di medici ai paesi esteri è necessario consentire le assunzioni. Questi sono i compiti che spettano a livello nazionale. Serve però proseguire nel surplus di impegno anche a livello territoriale perché le aziende ospedaliere pubbliche non soccombano al privato e consentire a chi vi opera, di lavorare nelle miglior condizioni possibili perché nessuno può essere partecipe del suo declino o disinvestimento».

© RIPRODUZIONE RISERVATA