Pensioni, l’allarme sulle novità
«Con quota 100 tagli fino al 30%»

I pilastri «fondamentali» della manovra non cambiano, affermano i vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ma in Parlamento intanto sfilano le principali istituzioni in audizione e senza eccezione puntano il dito sulle stime di crescita ritenute eccessivamente «ottimistiche».

Anche perché – secondo l’Ufficio parlamentare del bilancio, ma anche secondo Confindustria – una delle misure chiave, come la riforma della legge Fornero sulle pensioni, darà risultati lontani dalle aspettative. Con le nuove regole previdenziali, è l’allarme dei tecnici del Parlamento, l’assegno che si intascherà sarà più leggero: la sforbiciata oscillerebbe dal 5 al 30%. Dunque, si potrebbe arrivare a prendere fino ad un terzo in meno se si decide di anticipare di 4 anni l’uscita.

Il sottosegretario al Lavoro, leghista, Claudio Durigon difende però l’operazione assicurando che non ci saranno tagli: «Chi uscirà con quota 100 – assicura – avrà una rata pensionistica basata sugli effettivi anni di contributi e non anche sugli anni non lavorati». Ma proprio il rischio di intascare una pensione più light potrebbe far sì che molti vi rinuncino: una conseguenza nei fatti da auspicare, perché altrimenti – evidenzia sottolineando il paradosso il presidente dell’Ufficio parlamentare del bilancio, Giuseppe Pisauro – salterebbero i conti. La platea potenziale per il 2019 sarebbe di «437 mila contribuenti attivi», e quindi se uscissero tutti si registrerebbe un «aumento di spesa lorda per 13 miliardi». Il doppio di quanto quantificato dal governo. I bergamaschi invece sono circa novemila.

Traballa anche, osserva questa volta il presidente degli imprenditori Vincenzo Boccia, il ragionamento per cui la nuova riforma previdenziale garantirebbe il turn over e quindi l’occupazione giovanile: difficile che «i benefici siano automatici».

E non appare più semplice la messa a punto dell’altra norma cardine della legge di bilancio: le difficoltà nell’attuazione del reddito di cittadinanza spaventano anche un sottosegretario ed esponente pentastellato come Stefano Buffagni: «Una misura fondamentale ma deve essere equilibrata», dice. Nonostante il governo sembri allontanarsi di nuovo dall’idea di rivedere il quadro macro, insieme all’Upb anche Istat, Corte dei Conti e Abi mettono in guardia gli alleati gialloverdi dal rischio di dover rifare i conti a breve.

«Un mutato scenario economico potrebbe influire sui saldi di finanza pubblica in modo marginale per il 2018 – dice l’Istituto nazionale di statistica –, ma in misura più tangibile per gli anni successivi». Che d’altro canto lo scenario economico si sia deteriorato rispetto alle previsioni di appena qualche tempo fa, lo ha riconosciuto lo stesso ministro dell’Economia Giovanni Tria, che – secondo quanto viene riferito da esponenti della maggioranza – sarebbe stato tentato dal rivedere i dati del prodotto interno lordo, incontrando però il muro della Lega e del Movimento 5 Stelle.

La risposta a Bruxelles non è ancora stata messa nero su bianco, ma lo sarà obbligatoriamente entro questa sera, quando alle 20 è anche stato convocato un Consiglio dei ministri che potrebbe essere anticipato da un vertice con Conte, i vice premier e il titolare del Tesoro. Intanto, lo spread continua a viaggiare a ritmi sostenuti e chiude in rialzo a 304 punti base, restando quindi fonte di preoccupazione per gli interlocutori nazionali e internazionali. Fondo monetario incluso, che proprio nella mattinata di ieri è stato ricevuto, in delegazione, a Palazzo Chigi dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, accompagnato da alcuni funzionari del ministero dell’Economia.

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