Processo Bossetti, ci siamo
Parlerà l’imputato, poi la sentenza

Ci siamo. Il processo è finito e nell’udienza di venerdì 1° luglio, la 45ª e ultima, il destino di Massimo Bossetti sarà deciso da sei donne e due uomini: i giudici che compongono la Corte d’Assise.

Due sono magistrati togati, la presidente Antonella Bertoja e il giudice a latere, Ilaria Sanesi. Gli altri sei (quattro donne e due uomini, più un supplente uomo) sono giudici popolari: cittadini qualunque, che rappresentano quel «popolo italiano» in nome del quale verrà pronunciata la sentenza. È a loro in particolare che si rivolgerà Bossetti, venerdì mattina: «Prenderà la parola per le ultime dichiarazioni spontanee, prima della camera di consiglio», conferma il suo avvocato Claudio Salvagni, che sta anche valutando di depositare al fotofinish una memoria difensiva integrativa, in particolare sul Dna. «Decideremo all’ultimo».

Una testa, un voto: la scelta dei giudici popolari pesa in camera di consiglio quanto quella dei togati. Questa è la democrazia della Corte d’Assise. E in caso di parità di voti, il giudizio penderà a favore dell’imputato. L’articolo 527 del Codice di procedura penale prescrive inoltre che votino per primi i giudici popolari (cominciando dal meno anziano per età) in modo che non vengano influenzati dal voto degli altri. Il presidente vota per ultimo, per lo stesso motivo. Quando alle loro spalle si chiuderà la porta della camera di consiglio, i giudici si riuniranno e non potranno più separarsi fino al raggiungimento di una decisione.

Ci sono sedute di camera di consiglio durate poche ore, altre invece - in genere per processi con molti imputati, come quelli di mafia - si sono protratte addirittura per più giorni, in cui i giudici sono rimasti segregati a studiare le carte processuali, fino al verdetto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA