«Questa è la maglia più bella che c’è»
CR77 lascia il calcio, non l’Atalanta

A fine stagione Cristian Raimondi smette di giocare. Ma rimane nello staff tecnico «con la Dea sul petto».

La voce che si piega ma non si spezza, regge, perché lui il suo mondo non lo abbandonerà mai, la «Dea sul petto», come l’ha definita, lo accompagnerà per sempre, in primis il prossimo anno nel nuovo ruolo di collaboratore della società nerazzurra. Gli occhi lucidi, quelli sì, a pensare ad una decisione così difficile in un momento così perfetto. Sono da poco passate le 18 di mercoledì 3 maggio 2017 e Cristian Raimondi ha appena annunciato il suo addio al calcio al termine della stagione. «Avessi detto Cristiano Ronaldo», è la frase buttata lì dall’anti-atalantino bergamasco di turno in questi ultimi anni: dagli torto è difficile se si guarda al confronto, ma ecco spiegato il perchè: c’è il CR77 a testimoniare la boutade, il falso paragone, e poi per un atalantino Cristian Raimondi, classe 1981, era l’emblema del giocatore perfetto, lottatore, sputa-sangue per la maglia, bergamasco e atalantino doc cresciuto a Zingonia.

Il tempo passato suona male a lui, ma anche a noi del campo che lo seguiamo dal suo approdo all’Atalanta e ritorno in bergamasca nell’estate del 2010, avendo già fatto parte della favola AlbinoLeffe insieme a tanti vecchi amici, prima di aver girato tra Palermo, Arezzo, Vicenza e Livorno. Le prime critiche nel corso di quell’andata, i dubbi sul suo ruolo, la bravura nel sapersi tappare le orecchie. Tanta corsa, tanti palloni recuperati, leader pian piano di uno spogliatoio e mai così fondamentale sotto questo punto di vista come in questa annata, nel via di stagione quando le cose non andavano.

Tredici assist e un gol in A, due in totale con la maglia dell sua Atalanta. Pochi, pochissimi ma buoni: uno lo sognava la notte e non lo faceva dormire, sotto la sua Curva Nord dalla quale seguiva spesso le fortune dei nerazzurri in giovane età. «Sei bella come un gol al 90°»: quella volta Raimondi contro il Palermo saltò più in alto di tutti all’ultimo minuto e la mise del sacco, prima di esplodere di gioia. L’ultimo con il Pescara, in autunno, in Coppa Italia: un gol facile facile, ma la grinta di sempre, attorniato nell’esultanza da tutti i giovani nerazzurri, quelli che saprà indirizzare al fianco del mister nel prossimo campionato.

«Smetti di fare quello che hai sempre fatto, questa è la maglia più bella che c’è, il calore dei tifosi mi mancherà, ma ringrazio la società perchè abbiamo trovato il modo più indolore per smettere. Parto già carico e voglioso di insegnare, ma anche imparare dal mister. L’ho deciso qualche mese fa, pochi compagni lo sapevano, uno è Giulio Migliaccio, a cui sono molto legato. Lasciare non è facile, soprattutto quando pensi ad un’Atalanta in Coppa, ma quando si hanno le idee chiare e vedi la possibilità di crescere in un altro lavoro, allora bisogna saper cogliere le occasioni. Mio figlio Luca ha pianto, perché si è ormai appassionato al calcio, sperava di vedermi ancora sul campo, ma poi ha capito, così come le sue sorelle».

Sognava anche l’Europa League e da subito lo affermò al suo arrivo a Bergamo, la raggiungerà da giocatore e poi se la godrà dalla panchina: una nuova vita per un’altra bandiera atalantina pronta ad appendere le scarpe al chiodo, un anno dopo Bellini ed insieme a Migliaccio. Onore a Cristian Raimondi, il CR77, nato con un pallone in mano e fedele alla sua Atalanta.

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