Se la pensione resta un miraggio
A Bergamo sono 24 mila in attesa

Si tratta di lavoratori precoci, cioè contribuenti che pur avendo maturato fino a 42 anni di età non possono lasciare la propria occupazione a causa delle rigidità imposte dalle legge Fornero. Uno spiraglio, adesso però c’è: si tratta dell’Ape social, la soluzione, recepita dalla legge di Bilancio 2017, per l’accesso alla pensione anticipata.

La legge li definisce, tecnicamente, «precoci»: gente che lavora da una vita intera, lavoratori precoci appunto, ma che pur avendo maturato fino a 42 anni di contributi, non ha però diritto alla pensione a causa delle rigidità imposte dalla legge Fornero che nel 2011 ha riformato il sistema. Bergamo, stando ai numeri aggiornati del ministero del Welfare, ne conta, attualmente, 24 mila 814. Di loro, 7.580 sono autonomi, 12.728 dipendenti, 3.811 rientrano nel settore pubblico e 695 fanno parte degli iscritti alla gestione separata Inps con partita Iva. Dati che collocano il territorio orobico al terzo posto della graduatoria lombarda (nella regione il totale è di 225 mila 825), dietro solo a Milano, dove ce ne sono circa 67 mila 400, e a Brescia, che ne ha 28 mila 646.

Per loro, si diceva, la pensione resta un miraggio, anche se però uno spiraglio, adesso c’è. «All’orizzonte - sottolinea il segretario provinciale della Cgil, Giovanni Peracchi - si profila la soluzione, recepita dalla legge di Bilancio 2017, dell’accesso alla pensione anticipata, la cosiddetta Ape social, che non comporterà penalizzazioni per quanti, rientrando in determinate categorie, sceglieranno di accedervi e che i sindacati hanno definito insieme al Governo nell’accordo dell’ottobre 2015. Ora – aggiunge – si sta mettendo mano ai decreti attuativi. La volontà condivisa dai sindacati è quella di non lasciare nessuno ai margini».

«Il nostro intendimento – rileva il segretario della Cisl di Bergamo, Giacomo Meloni – era di includere tutti i precoci. La coperta dei fondi, però, è corta. Diciamo che, in questa fase, si è puntato a tutelare, tra loro, i più svantaggiati. Non è poco essere riusciti pure ad allargare ulteriormente le tipologie occupazionali da considerare gravose, andando oltre le definizioni tradizionali. Mi riferisco, in particolare, alle attività in edilizia, che toccano da vicino la nostra gente, ma anche a quelle dei trasportatori, del facchinaggio o delle pulizie».

© RIPRODUZIONE RISERVATA