«Trapianti di fegato anche a pazienti con tumori intermedi o avanzati»

In base allo studio coordinato dall’Istituto tumori con il contributo del Papa Giovanni, alla donazione può essere candidato anche chi è affetto da epatocarcinoma in stadio evoluto.

C’è anche il Papa Giovanni XXIII di Bergamo fra i nove ospedali che hanno contribuito allo studio dedicato al trapianto di fegato nei pazienti con epatocarcinoma. Uno studio di grande impatto, che dimostra – in estrema sintesi – come il trapianto sia la migliore cura per il cancro al fegato, anche quando il cancro è in uno stadio avanzato.

E sta proprio qui l’importanza dello studio coordinato dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano: se la comunità scientifica già riconosceva nel trapianto la terapia migliore per i pazienti con tumori ristretti e contenuti al fegato, per la prima volta gli ospedali italiani sono riusciti a dimostrare come – utilizzando in una prima fase una sorta di terapia «ponte» – il trapianto diventi non solo una soluzione praticabile ma anche ideale perfino per chi, fino ad oggi, non poteva ambire alla donazione dell’organo, perchè affetto da un tumore in stadio intermedio o avanzato. Per dirla con parole semplici: alcuni dei pazienti fino ad oggi esclusi dal trapianto, in virtù della dimensione avanzata del tumore e dell’alto numero di noduli presenti, possono diventare candidabili a ricevere l’organo.

Lo studio, durato nove anni e finanziato con i soli fondi del Ministero della Salute, ha prodotto risultati eloquenti che dimostrano la superiorità del trapianto su tutte le altre terapie non-chirurgiche attualmente utilizzate per questa malattia: 74 pazienti tra i 18 e i 65 anni, con carcinoma epatocellulare senza metastasi, sono stati sottoposti a varie terapie per ridurre le dimensioni del tumore. In seguito, sono stati divisi in due gruppi: il primo è stato sottoposto al trapianto di fegato, il secondo ha invece continuato ad essere seguito con le altre terapie non chirurgiche. Ebbene, a cinque anni, la sopravvivenza libera da eventi tumorali è stata del 76,8% nel gruppo dei pazienti che hanno eseguito il trapianto di fegato, contro il 18,3% nel gruppo di controllo.

«È chiaro che i risultati di questo studio, a cui il nostro ospedale ha contribuito reclutando uno dei numeri maggiori di pazienti, allargano la platea di persone candidabili per il trapianto di fegato – spiega Michele Colledan, direttore del Dipartimento funzionale Insufficienza d’organo e trapianti del Papa Giovanni XXIII-. Il trapianto si effettua di norma in pazienti che risultano avere almeno il 60% di possibilità di sopravvivenza a cinque anni. Con lo studio abbiamo dimostrato che, se interveniamo sul tumore con una terapia ponte che ci consente di arrivare a quella percentuale di sopravvivenza, anche pazienti che non verrebbero considerati idonei al trapianto di fatto lo diventano. In cosa consiste la terapia ponte? Nel ridurre le dimensioni e il numero di noduli del tumore con interventi chirurgici e terapie radiologiche mirate: se questa terapia funziona, se cioè il tumore rimane in questo stadio contenuto per un periodo che va dai tre ai sei mesi, allora il paziente diventa candidabile per il trapianto.

Parliamo di pazienti che, ad oggi, nemmeno venivano messi in lista d’attesa: persone che potevamo trattare solo con cure palliative». Ogni anno in Italia circa milletrecento persone ricevono un trapianto di fegato, ma altre mille rimangono in lista senza riuscire ad ottenerlo. Al Papa Giovanni, dove quello al fegato è il trapianto più diffuso, vengono effettuati fra gli 80 e i 100 trapianti ogni anno. «Circa la metà dei pazienti che fino a oggi sono stati considerati inadeguati ora potranno essere candidabili al trapianto – fa sapere Stefano Fagiuoli, direttore del dipartimento di Medicina del Papa Giovanni XXIII -. E questo ci aiuta molto anche dal punto di vista etico. Com’è facile immaginare, ci siamo spesso trovati di fronte a persone che, con un tumore avanzato al fegato, ci chiedevano di fare il trapianto, consapevoli che l’alternativa sarebbero state le sole cure palliative: ma a tutte queste persone abbiamo dovuto negare, almeno fino ad oggi, la donazione.

Spiegando che superavano i parametri utilizzati comunemente in tutto il mondo per selezionare i pazienti candidabili al trapianto, che ci impongono di fare buon uso degli organi, cioè di assegnarli a chi ha più possibilità di goderne a lungo. E non si tratta di una cosa semplice da dire ai pazienti. Ecco, lo studio adesso ci consente di ampliare significativamente la platea di persone candidabili al trapianto». I centri che hanno contribuito allo studio sono l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano con il dipartimento di Oncologia dell’Università di Milano, l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, l’Ospedale Cà Granda di Niguarda con l’Università Bicocca, la Città della Salute e della Scienza e l’Università di Torino, l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, l’Ospedale e l’Università Politecnica di Ancona, l’Università Tor Vergata e la Sapienza di Roma, l’Ismett di Palermo.

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