«Un traforo sotto il Canto Alto
farà rinascere la Val Brembana»

L’idea: un comitato promotore di cittadini lancia il progetto di un nuovo collegamento ferroviario. «Un’utopia? Serve una scossa contro l’abbandono».

Chiamatela utopia. Perché immaginare, oggi, un traforo ferroviario sotto il Canto Alto da Bergamo a Zogno è un sogno ad occhi aperti. Ma c’è chi è convinto che è proprio questo il tempo di osare per non lasciare la Valle Brembana in balìa dell’abbandono che inesorabilmente la affligge da almeno mezzo secolo. L’obiettivo è ambizioso, forse addirittura antistorico, dati alla mano. Un gruppo di cittadini ha deciso di raccogliere il guanto della sfida e ha costituito un comitato ad hoc. Lo presiede l’ex dirigente del liceo Lussana di Bergamo Cesare Quarenghi, che ha casa, e orgini, a Sottochiesa, in Val Taleggio. Tra i membri troviamo Giacomo Fustinoni (già presidente dell’ordine degli avvocati di Bergamo), Sebastiano Moioli, ingegnere, Marco Pagnoncelli, direttore Litostampa, Giulio Fustinoni (delegato nazionale di cassa forense), Gianandrea Rota, insegnante all’istituto comprensivo di Zogno, Mauro Andreini, dirigente Consulting 360, Eleonora Guerra, architetto, Giovanni Ghidelli, commercialista, Marco Fustinoni, avvocato, Sebastiano Masper, dirigente, Alberto Fustinoni, veterinario e fondatore di Lussanabasket.

Cosa li accomuna? La passione per una valle che soffre da tanti, troppi anni, senza che nessuno abbia finora trovato una ricetta di pronta guarigione. Per il comitato l’unica soluzione è cambiare radicalmente il punto di vista, dare una scossa agli attori del territorio. Ed ecco, dopo un lungo confronto (il gruppo ha iniziato a parlarne nell’autunno del 2016), il primo passo concreto: uno studio di fattibilità (firmato dall’ingegner Sebastiano Moioli) per il collegamento ferroviario Bergamo (stazione Fs)-Piazza Brembana. Il tracciato parte con un percorso sotterraneo metropolitano dalla stazione fino all’imbocco del tunnel sotto il Canto Alto, in zona Valtesse, poi la galleria di 10 chilometri, quindi l’ultimo tratto, grossomodo sul tracciato della vecchia ferrovia della valle, fino a Piazza Brembana (con l’attuale pista ciclabile che dovrebbe necessariamente trovare un percorso alternativo). Sette le stazioni previste: Zogno-Camanghé (dove sbuca la galleria), Ambria, due a San Pellegrino, ospedale di San Giovanni Bianco, San Giovanni centro, Piazza Brembana. C’è anche un costo stimato, ovviamente astronomico: sfiora il miliardo di euro, per la precisione 965 milioni. Una cifra che basterebbe da sola per coprire tranquillamente il raddoppio Ponte-Montello e il collegamento ferroviario con Orio al Serio, cioè le due grandi opere ferroviarie attese dal territorio bergamasco nei prossimi anni. Ma siamo nel campo dell’utopia, dicevamo, per cui le cifre contano, ma fino a un certo punto.

Ora contano di più le idee, e la passione che le alimenta. O le preccupazioni che le muovono. «Qui occorre fare qualcosa e farlo in fretta, se va avanti così, la valle muore» dicono Quarenghi e soci. Ma non c’è già il progetto della Teb, la seconda linea del tram, che collegherà Bergamo con Villa d’Almè? Non si poteva puntare sul prolungamento di quell’opera (già faticosamente portata avanti da una pluralità di attori del territorio con un percorso tutt’altro che agevole)? Non poteva bastare quella, insomma? «La premessa è che noi siamo aperti a tutte le ipotesi che migliorino i collegamenti con la valle, per cui ben venga la Teb – sostiene il comitato –, ma a nostro avviso il tram non migliorerà la vita di chi abita l’alta valle. Un conto è un mezzo di trasporto di tipo urbano, come il tram, un conto è il treno. Con la nostra proposta, i tempi di percorrenza cambierebbero in maniera drastica: 6 minuti da Zogno a Bergamo, 14 minuti da San Pellegrino a Bergamo, 49 minuti da San Pellegrino a Milano. È proprio un cambio di prospettiva radicale».

Con tre obiettivi principali: favorire il ripopolamento, favorire l’industria (sono già stati fatti incontri con realtà aziendali della valle, come Sanpellegrino e Unicalce) e favorire il turismo («la sua vicinanza a grandi aree demografiche potrebbe farla diventare il “giardino di casa” per quote non trascurabili di popolazione dell’area bergamasca e milanese» si legge nella presentazione).

I soci promotori del comitato hanno deciso di uscire allo scoperto, «mettendoci la faccia», consapevoli di rischiare qualcosa sul piano della credibilità (ma se non ci fosse il rischio, che utopia sarebbe?), ma allo stesso tempo animati da una forte determinazione, che li ha portati a incontrare già rappresentanti istituzionali, oltre alle imprese, come l’assessore regionale Claudia Terzi e i sindaci del territorio. E ora vogliono farsi promotori di un tavolo di discussione per stipulare un protocollo d’intesa.

Si vedrà. La sfida è sul piatto. I numeri sono da capogiro e senza essere esperti del settore è difficile pensare a una facile traduzione dei contenuti in termini concreti e immediati. Ma non è il momento di fare i puntigliosi. L’accento semmai va posto sul grido d’allarme sotteso a questo progetto, a una valle che muore e che, senza il respiro di un’utopia, rischia di non riemergere più.

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