Buon anno ai lettori di Corner. Il 2021 comincia col prof. Caudano: ecco il suo bilancio (non solo atalantino) del 2020

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Isilenzi di una casa non si sa benedirli o sopportarli mai abbastanza. A volte, sono un dono. A volte sono una maledizione. Certi giorni, dopo cinque ore di spiegazioni, interrogazioni, confusione nei corridoi e chiacchiere (altrui) in sala professori, il professor Caudano, quando rientra a casa e chiude la porta dietro di sé, prova l’ebbrezza del silenzio, la gioia fisica di chi ha la fortuna di stare lontano da qualsiasi rumore e da qualsiasi parola pronunciata da altri (su nessuna parola pronunciata da altri abbiamo il controllo: può essere carezza o sasso, brezza o tempesta). Ma, altre volte, per il buon Elvio lo stesso silenzio diventa una gelida cappa in cui i pensieri si fanno cupi, ingigantiscono e finiscono per far male. Figurarsi un 31 dicembre posto in coda a un anno difficile. Caudano è un privilegiato, in fondo. E lo sa. Non si è ammalato e può condurre una vita che lo espone a pochi rischi, ha un posto di lavoro sicuro, non ha parenti per cui stare in trepidazione, non ha morti per coronavirus da piangere. Il disagio della didattica a distanza è stato più degli studenti che suo, a conti fatti. E si vaccinerà appena possibile. Al 31 dicembre 2020, può dire che la burrasca della pandemia lo ha solo sfiorato. Eppure, la data favorisce consuntivi e lui, d’istinto, ha poche voci in attivo. Pomeriggio avanzato. Il bilancio va tentato. Lo svolgimento accurato del suo lavoro non sembra bastargli come un tempo, forse perché i risultati non sono più quelli di un tempo. Cambiati i ragazzi, cambiata la scuola, cambiati i tempi, cambiato lui: l’entusiasmo di un insegnante giovane più dà e più crede di ricevere; la posata consapevolezza di un insegnante in età non si fa illusioni né su ciò che riesce a trasmettere né su ciò che gli torna in termini di apprendimento e crescita dei ragazzi.

E poi, poi c’è il resto. Il tempo che passa, il fatto che finisca ogni anno un anno più vicino alla pensione e alla vecchiaia, i dubbi terribili sul senso di una vita che potrebbe anche sembrare del tutto (o quasi) sprecata, la rassegna delle ambizioni perdute, la pateticità delle ultime speranze coltivate (il cellulare tace, Margherita non smette di essere presenza, ma sta ben attenta a non esserlo troppo, forse è lei stessa confusa su quale sia la giusta distanza, o la giusta vicinanza).

Il 2020 finisce e Caudano lo sa: non è tanto l’emergenza sanitaria a pesargli; è come lui l’ha vissuta. La certezza che, in fondo, la clausura per lui non è stata gran che importante. Non gli ha tolto quasi nulla. Vorrebbe assolversi. Inizia un tipo di ragionamento che conosce perfettamente. Dopo essersi fustigato, Elvio intravede la via dell’autoassulzione: che ha fatto ciò che ha potuto, che in tutta coscienza non si è risparmiato, che la sua natura è quella, per cui… Ma troppo facile è la controreazione: che, sì, lui è fatto come è fatto, ma vivere è anche superare i propri limiti, che essere vivi è esattamente andare oltre il confine stabilito e risaputo, che verrà un girono in cui, come ha scritto Leopardi, si volterà e allora si pentirà…

Troppo silenzio. Pensieri troppo pesanti. L’umiliante certezza che, in fondo, il coprifuoco alle 22 per il suo Capodanno non faccia la minima differenza. Meglio uscire. Quasi buio. Per strada, sebbene in mascherina, viene riconosciuto dal padre di un ex-alunno, un ragazzino silenzioso e timido, che Caudano avrà avuto almeno quindici anni fa.

Il personaggio gli fa una festa inattesa: “Che piacere, rivederla! Ma sa che proprio a Natale, con Francesco, che è venuto da noi a pranzo con sua moglie, ricordavamo i tempi della scuola e lui ha recitato a memoria tutto un passo di un’opera di Ovidio che avevate letto in seconda, e con la metrica? Oh, professore, lo sapeva ancora tutto! Parlava di Arianna e Teseo, mi pare. Abbiamo riso tanto, con quegli esametri tutti scanditi, ma lui ci ha anche detto che ha un ricordo bellissimo di quei tempi e di quelle lezioni, che aveva paura ma che ha anche imparato tanto”…

Caudano sorride, ringrazia. Un po’ si consola. Quando riprende il suo giro, incappa in una chiesa da cui sente uscire un canto. Entra. Coglie un brandello del “Te deum”.

Il prete è giovane, ha un’aria intelligente e positiva. Nel pensiero che rivolge ai pochi presenti, esorta a considerare che anche in un anno difficile, o soprattutto in un anno difficile, si ha il dovere di riconoscere la nobiltà e la bellezza di comportamenti che si sono avuti e incontrati. Che non tutto è stato da buttare. Che “del bene se ne può fare per tutto”, come mormora fra sé il vecchio servo di don Rodrigo quando si chiede che ci faccia nel palazzotto del suo padrone un sant’uomo come fra Cristoforo… E del bene lo hanno fatto i medici, gli infermieri, i cassieri dei supermercati, i professori, gli operatori ecologici…

A Caudano, un giovane sacerdote che cita il suo Manzoni e anche il suo lavoro mette un poco di buonumore. Rientra come rinfrancato. Non sta a cercare le buone cose che il suo 2020 ha pur avuto. Sa che sono i momenti in cui ha cercato di essere utile agli altri (e sa che per lui gli altri sono soprattutto gli studenti, e che, se essere utile a degli studenti è spiegare con passione ed esigere con onesto buon senso, può tutto sommato guardare a se stesso con benevolenza: anche al computer ha fatto meglio che ha potuto…). Già, il computer. Prova a distrarsi proprio lì, e inizia una specie gioco: cercare una gemma dell’Atalanta per ogni mese in cui sia scesa in campo. E si diverte.

Perché chi cerca trova.

Gennaio: la perfezione del quarto goal al Parma (Ilicic al volo su cross di Gosens. Movenza perfetta, da ballerino russo).

Febbraio: Ilicic ancora, quella finta che a Lecce ha mandato mezza difesa a spasso.

Da marzo a giugno, nulla, ovvio.

Fine giugno: la splendida vendetta in rimonta sulla Lazio e in particolare la rete strepitosa di Malinovskyi per il momentaneo 2-2.

Luglio: l’azione dello 0-1 a Torino con la Juventus, il ricamo del Papu (Caudano deglutisce) e la chirurgica conclusione di Zapata.

Agosto: ovviamente, Pasalic che trafigge il PSG e fa sognare la semifinale di Champions per 64 minuti esatti.

Settembre: la rete nitida e secca di Hateboer all’Olimpico (nuova vendetta sulla Lazio: non bastano mai).

Ottobre: dopo il 4-0 di Zagabria dell’anno precedente, lo 0-4 dell’esordio in Champions, chiasmo perfetto. E con il bel gol di Miranchuk.

Novembre: Josip che torna al gol e apre la strada alla magnifica vittoria di Anfield (al mondo, sorride Caudano, ci sarà un’altra squadra che ha vinto tutte le partite che ha disputato nella città di Liverpool?…).

Dicembre, per finire: Luigi Muriel che se ne va e porta l’Atalanta a espugnare anche il campo dell’Ajax (Caudano ha impresso nella mente il commento gridato dal cronista colombiano: “Es la vida según Muriel, es la vida según Atalanta”…

Già, Caudy: è la vita secondo l’Atalanta… Un modo in più per sorridere anche alla fine di un anno complicato.