Si ride con «Hotel Paradiso»
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Sono bravi, sono pazzi quel tanto che ci vuole in questo mestiere, sono capaci di tocchi di grande (e imprevista) poesia. Sono la Familie Flöz, il gruppo tedesco di scena mercoledì sera al Teatro Donizetti di Bergamo nell'ambito del cartellone «Altri percorsi», con il loro ultimo spettacolo dal titolo Hotel Paradiso. Era tempo, verrebbe da dire. Malgrado l'attenzione e la capacità con cui «Altri percorsi» ha sempre battuto le vie della scena contemporanea, sono relativamente poche, nella sua quasi trentennale storia, le aperture alle forme più eccentriche e compromesse con i generi di derivazione più popolare, come la strada, il circo, le figure animate, la pantomima.

Il gruppo tedesco – nato diciotto anni fa ad Essen, a Berlino dal 2001 – pare fatto apposta per colmare tutte queste lacune in una volta sola. Perché la Familie Flöz fonda il suo particolarissimo modo di fare teatro sulla riscoperta delle potenzialità della maschera, del teatro di figura, il mimo e in generale l'espressione corporea o la danza, la clownerie, l'acrobrazia, se serve anche con quel pizzico di prestidigitazione che non mancava mai, per esempio, nel bagaglio dei saltimbanchi. Così gli spettacoli sono sempre in bilico tra umorismo, comico e grottesco, senza mai però trascurare una punta d'amaro.

Hotel Paradiso è un bell'esempio della scena secondo la Familie Flöz. Anche in questo caso lo spettacolo prende corpo dallo scambio di proprietà sceniche tra attore e pupazzo, attraverso la maschera: che deforma il volto, modifica la percezione e l'uso del corpo, condiziona i movimenti, altera lo statuto stesso dell'attore in scena, lo assimila alla figura animata senza che lo sia del tutto. Ma stavolta il «cotè» drammaturgico dello spettacolo è un giallo con scoperte venature noir: siamo in un piccolo albergo di montagna a conduzione famigliare, amministrato con pugno di ferro dall'anziana capo-famiglia.

L'idillio alpino si rompe però presto. Mentre i personaggi danno inizio a un rondò grottesco – un figlio sognatore, una sorella possessiva, una cameriera maniaca delle pulizie, un facchino e un aiutante tuttofare, un cuoco bizzarro, una serie di clienti al limite della normalità – si scopre un delitto. Nell'ascensore (guasto) si trova un cadavere. La farsa diventa qualcosa d'altro. Un giallo, appunto. E un'insinuante metafora esistenziale: come già il bellissimo Ristorante immortale, dove tutta la vita si chiudeva tra le pareti metafisiche di un locale sospeso tra le dimensioni, o il precedente Teatro Delusio, che mostrava splendori e miserie di un «retroscena» teatrale. Come in tutti i suoi lavori, Familie Flöz firma collettivamente lo spettacolo.

Del resto il nome del gruppo (attori, musicisti, ballerini, scenotecnici, mascherari e drammaturghi, a volte tutte queste cose insieme, provenienti da più di dieci nazioni diverse) allude con un po' d'ironia alle radici del lavoro teatrale, in cui il concetto di «famiglia» si estendeva ben oltre lo stretto ambito parentale. In scena Anna Kistel, Sebastian Kautz, Thomas Rascher e Frederik Rohn, anche autori con il regista Michael Vogel e l'autore delle maschere Hajo Schüler. Le scene sono di Michael Ottopal, i costumi di Elisu R. Weide, il suono di Dirk Schröder, le luci di Reinhard Hubert. PGN

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