L'Eco intervista Woody Allen:
«Un film a Roma o Venezia»

Ci sono poche cose al mondo che gli intervistatori gradiscono meno del sentirsi dire «ok, mi mandi le domande per e-mail», ma Woody Allen è Woody Allen e con lui la sostanza vale sempre più della forma. Così trenta righe di risposte scritte da lui valgono più di venti minuti di chiacchierata con la celebrity hollywoodiana di turno, oltre al vantaggio non indifferente di trovare concisi sulla pagina bianca del computer quei concetti che a voce il regista è solito diluire in discorsi fatti solitamente di poche parole e lunghe pause.

L'opportunità è data dal ritorno in Italia dell'autore di Manhattan e La rosa purpurea del Cairo nei panni di musicista, alla testa di quella New Orleans Jazz Band con cui è di scena il 30 marzo alla Fenice di Venezia e il 31 all'Auditorium Parco della Musica di Roma. Il programma promette un repertorio in bilico tra i localini di Storyville e i localacci di Chicago, scandito da quel battito ritmico del piede con cui Allen, 74 anni, accompagna tutte le sue esibizioni al Caffè dell'Hotel Carlyle di New York dove (quando si trova a Manhattan) è in scena ogni lunedì per saziare quella fame di jazz che può essere considerata la sua più grande passione insieme alla psicanalisi e alle donne.

Se da ragazzo Woody rimase sedotto prima dallo splendore di Rita Hayworth o dalla febbre dello swing non è dato di saperlo, certo è che il nome d'arte (all'anagrafe si chiama Allan Stewart Königsberg) viene da quello di un grande del clarino come Woody Hermann e anche i due figli adottati assieme all'ultima moglie Soon-Yi Previn si chiamano Bechet e Manzie in omaggio a due altri suoi amatissimi colossi come Sidney Bechet e Manzie Johnson.

Regista, sceneggiatore e attore, nonché comico, autore teatrale, scrittore umoristico e appunto clarinettista jazz, la sua intensa produzione (una media di quasi un film all'anno) e il suo stile cerebrale e raffinato l'hanno reso uno degli autori cinematografici più rispettati e prolifici dei nostri tempi. Scrive e dirige i propri film ed ha recitato in molti di essi nel ruolo di protagonista. I temi affrontati da Allen – dalla crisi esistenziale degli ambienti intellettuali alla rappresentazione spesso autoironica della comunità ebraica newyorkese – rispecchiano la sua passione per la letteratura, la filosofia, la psicanalisi, il cinema europeo e, soprattutto, la sua città natale, New York, dove vive e dalla quale trae continua ispirazione.

Mister Allen, trent'anni fa New York per lei era una città in bianco e nero che pulsa con la musica di Gershwin. È ancora d'accordo con quella descrizione di Manhattan? «Sì, trovo ancora New York una città molto romantica e stimolante».

Oltre a quello già pronto, sta lavorando ad un nuovo film? «Lo girerò a Parigi in estate, ma la trama è ancora in alto mare».

Tempo fa ha confidato che le piacerebbe dirigere Carla Bruni, potrebbe essere la volta buona. «Penso che la Bruni possa essere una brava attrice, ma al momento ha un ruolo che non mi consente di approfittare avidamente del suo tempo».

Girerà prima o poi un film in Italia come ha fatto per Match point a Londra o per Vicky Cristina Barcelona nella capitale catalana? «A Roma o a Venezia mi piacerebbe. E vorrei anche tornare a lavorare in Spagna, per trasformare certe città che amo particolarmente nei set abituali dei miei film».

I suoi concerti sono un trionfo. S'è abituato alle accoglienze calorose? «No, ogni sera è uno shock. Non riesco proprio a capacitarmene».

Che cosa ha offerto e che cosa ha tolto la popolarità alla sua attività di musicista? «So benissimio che la gente viene ad ascoltarmi perché sono un attore e regista cinematografico. Se dovessi vivere di sola musica morirei di fame».

Come reagisce a questa evidenza? «Studiando come un musicista vero, per farmi trovare preparato».

Quali sono i musicisti che l'hanno folgorata sulla via di New Orleans? «Gente come Sidney Bechet, George Lewis, Charlie Parker, Johnny Dodds, Albert Burbank, Thelonious Monk. E spero che queste mie citazioni non li facciano rigirare nella tomba».

È notorio che i riconoscimenti la lasciano abbastanza indifferente, ma tra un Oscar e un Grammy cosa preferirebbe? «Non penso che mi si porrà mai il dilemma. Non sono molto interessato agli Oscar e penso che a nessuna persona sana di mente verrebbe l'idea di candidarmi ad un Grammy».

Tornare a Venezia l'emoziona? «Certo. Avrei dovuto esibirmi alla Fenice già nel '96 e rimasi annichilito nell'apprendere che il teatro era bruciato. Venezia è una città speciale, una delle più care che mi porto nel cuore. È per questo che nel '97 con mia moglie Soon-Yi abbiamo voluto sposarci qui».

Si è mai pentito di aver tagliato dalla versione definitiva di Everybody says: I love you proprio la scena girata da sua figlia e Kim Rossi Stewart davanti alla Fenice? «No, non provo nessun pentimento né rimorso nel tagliare materiale nei miei film, perché il montaggio completa il lavoro e questo mi rende felice».

Perché nelle interviste dichiara che se potesse tornare indietro preferirebbe diventare un grande pianista piuttosto che un grande clarinettista? «In generale vorrei essere un grande musicista. La musica piace e commuove tutti. È vero, forse preferirei diventare un grande pianista. Ma tutti quelli cresciuti come me negli anni Cinquanta ascoltando alla radio le opere di Porter, Berlin o Gershwin vorrebbero esserlo».

Paride Sannelli

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