Procol Harum super in via Tasso
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Desueto lo spazio, istituzionale. Gary Brooker giura di non aver mai suonato in un palazzo di potere, ma è contento di farlo. Nell'unica data italiana del tour europeo, i Procol Harum recitano in Provincia la parte di loro stessi, a distanza di tanti anni dal clamoroso successo che ha consegnato la band alla storia.

L'attuale bassista del gruppo Matthew Pegg confessa di aver suonato A Whiter Shade Of Pale solo qualche volta. Del resto non sono molte le band al mondo che rischiano di essere cancellate dal successo di un singolo costruito sulla progressione armonica dell'Aria sulla quarta corda di Bach, e ai Procol Harum questo è successo.

Così si spiega il motivo per il quale il vecchio leader Gary Brooker preferisce non suonare quell'hit intramontabile che in un solo anno vendette più di undici milioni di copie. Si era nel 1967. Da allora sono passate intere ere geologiche musicali, ma i Procol Harum, tra alti e bassi, scioglimento e reunion, sono ancora qui.

E il presidente della Provincia Pirovano li ha voluti a casa sua per levarsi uno sfizio, appagare una cocente passione e regalare un bel concerto alla città. Prima del concerto è lui che fa gli onori di casa e saluta gli astanti: almeno un migliaio di persone.

Tocca il cielo con un dito e forse gli piacerebbe inforcare la chitarra per qualche accordo all'ombra del mito. Con Brooker è nato un feeling, tant'è che in omaggio a Bergamo, al primo bis, la band attacca A Whiter Shade Of Pale. Questo non sarà un paese per vecchi, ma la musica dei Procol Harum è indubitabilmente nostalgica.

Profuma di un'epoca di cambiamenti musicali e vive di una creatività riflessa dal passato, non per questo meno importante. Quando senti quel misto di musica classica, progressive rock e blues, e lasci che la memoria segua i sentieri lontani della psichedelia, capisci che qualcosa è accaduto in questi anni e che tanta musica venuta dopo qualcosa deve all'epoca d'oro della musica inglese, segnata dai Procol Harum, dai Moody Blues, e dopo dai Genesis, dagli Yes, dai King Crimson.

Il concerto comincia da Shine On Brightly e viaggia sulle direttrici d'antan dei vecchi dischi, senza porsi minimamente il problema di un aggiornamento. Lo stesso Gary Brooker, interrogato dal presidente-fan della provincia Pirovano, non ha un momento d'esitazione nel rispondere: voci e arrangiamenti sono gli stessi di sempre. E la musica non è affatto «l'ombra pallida» di quel che un giorno ci aveva fortemente stupito.

Per carità, riascoltare Homburg piuttosto che A Salty Dog in versione classica è solo un piacere over 50. Altrove Grand Hotel finisce un poco pasticciata, ma che importa. Qui siamo lontani dall'usa e getta del pop odierno. Dal vivo i Procol Harum sono persin meglio che in fotografia. Mettono insieme il rumore creativo di un'epoca e per fortuna non si pongono il problema di aggiornarlo.

L'organo Hammond non è più dello stesso modello di allora, ora usano una tastiera tecnologica che evoca il vecchio suono, ma l'impasto delle sonorità è simile. La scaletta del concerto segue il filo del'amarcord e non potrebbe essere diversamente. Le immagini evocate dal paroliere Keith Reid restano criptiche, Homburg a noi ricorda i Camaleonti, mentre A Salty Dog racconta storie di marinai e terre lontane.

Conquistador è un hit che anticipa i bis. L'immagine di Brooker è quella di un vecchio signore che ha consentito al tempo di passare senza lasciar troppi segni, soprattutto nella voce. L'altro polo della band è Pegg, entrato in forza nel 1993. È lui che quando tratta con la stampa mantiene toni in buon equilibrio tra ironia e understatement, guadagnando anche per questo un punto di credibilità.

Lui che è giovane con la storia si è sempre confrontato, figlio di Dave Pegg, il leggendario leader dei Fairport Convention. Riascoltando oggi i Procol Harum si ha comunque la percezione di essere innanzi ad uno dei gruppi influenti del rock inglese, e non solo per qualche hit che ha felicemente superato la barriera del tempo, ma per la grana di una combinazione musicale che ancor oggi rimescola le carte del blues e del rock psichedelico.

Le canzoni di Brooker e compagni, se mai ce ne fosse bisogno, dimostrano quanto la storia della popular music sia una trama molto più complessa della banale definizione di «musica di consumo».
 Ugo Bacci

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