Nelle lettere dal fronte
la storia scritta dalle trincee

L'attesa di tempi migliori, anche con toni messianici. La cruda realtà della vita nei drammatici frangenti della guerra. La proclamazione del proprio patriottismo. Il senso di grande riconciliazione e affetto fra i commilitoni. La richiesta di notizie sul paese, sulle nascite e sulle morti, sull'andamento dei raccolti o delle fabbriche.

La richiesta di invio di pacchi di vestiario o viveri, ma anche di immaginette sacre, medagliette di un santuario. L'affetto verso il proprio cappellano, considerato un padre. Soprattutto emerge con forza un dato storico inoppugnabile: soltanto la religiosità popolare era capace di mantenere un legame invisibile ma effettivo con i propri paesi e la propria famiglia.

Sono i contenuti delle lettere dei soldati italiani dei due conflitti mondiali, da tempo oggetto di studi storici accurati insieme ai rapporti dei prefetti, degli ordinari militari e dei vescovi, perché rappresentano uno specchio efficace della realtà sociale, culturale e religiosa dell'Italia coeva.

La lettura della Grande guerra (1915-18) era eterogenea. Accanto al diffuso patriottismo c'era anche l'orientamento prevalente nel mondo rurale e nelle parrocchie, che denotava una profonda ostilità verso la guerra. Nei rapporti dei prefetti si rilevava che il mondo cattolico era largamente sfavorevole e soprattutto che la classe contadina — su cui non si lesinavano critiche o ironie per la bassa istruzione e idealità — della guerra vedeva il solo nesso causale della perdita di braccia nel lavoro dei campi.

Tutto il racconto su L'Eco di Bergamo del 4 novembre, giorno delle Forze Armate

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