Benigni, un ciclone a cavallo:
spiega l'Inno di Mameli a Bossi

Il Festival ha reso omaggio all'Unità d'Italia con il ciclone Benigni che irrompe a cavallo. A un mese esatto dal 150° la serata sanremese «nata per unire» è «semplice, affettuosa, senza pretese». Lo ha spiegato anche Gianni Morandi.

Il Festival ha reso omaggio all'Unità d'Italia con il ciclone Benigni che irrompe a cavallo. Sanremo tricolore nasce nell'immaginario del direttore di rete Mazza, del direttore artistico Mazzi e, perché no, del ministro La Russa, che arriva anticipato dalle Frecce che sbuffano nel vento i colori della nostra bandiera.

A un mese esatto dal 150° la serata sanremese «nata per unire» è «semplice, affettuosa, senza pretese». Lo spiega Morandi, per non caricare troppo il passaggio di un Festival che ormai viaggia bene e non ha bisogno di altre protezioni. La squadra ormai è rodata, l'eresia di Luca & Paolo controllata e poi c'è Benigni, che a mezza sera arriva sul cavallo banco sventolando la bandiera italiana.

Non mancano i riferimenti a Berlusconi e al caso Ruby («La storia delle minorenni è nata qua a Sanremo con la Cinquetti che cantava Non ho l'età») e, par condicio, anche a Bersani, ma il premio Oscar si rivolge direttamente al leader della Lega, Bossi: «Dov'è la vittoria, le porga la chioma, chè schiava di Roma Iddio la creò. Umberto, è la vittoria che è schiava di Roma, non l'Italia! Umberto, il soggetto è la vittoria!», avverte Benigni. Poi mette in scena la sua appassionata e irresistibile esegesi dell'inno di Mameli, attraverso il gioco al massacro dell'attualità. Rimescola tempi e figure, racconta la storia e riallaccia i quadri al lato surreale della politica di casa nostra.

Sfoglia le pagine del Risorgimento, narra l'Italia dilaniata e parla di patriottismo, di valori, dell'allegria di un popolo che si ritrova nel suo inno. Lo declama di verso in verso, ne spiega il significato e chiude cantando a cappella il canto degli italiani.

Altre canzoni tengono banco, non fanno storia, ma ricompongono una sensibilità italiana, una suggestione. Da Giuseppe Verdi a Cutugno, in grande spaccata, dal Nabucco a Battisti, alla tradizione popolare italiana e partenopea. Nella serata dell'unità c'è di tutto un po' e qualcosa manca. Davide Van de Sfroos scandisce con forza il folk-rock di Viva l'Italia. La Tatangelo ammicca a tempo di beguine e quando canta «mamma son tanto felice» pensa al probabile ripescaggio.

Anna Oxa gorgheggia O sole mio in versione rock e Verdi scoperchia la tomba al Va' pensiero ritmato e pop di Albano, con le voci liriche di Iannis Plutarchos e Dimitra Theodossiou. Per fortuna c'è il Gianni nazionale che riporta in clima l'Ariston e canta l'emozione di Rinascimento, una canzone amara, sentimentale sul mondo che si allontana dall'amore. L'ha scritta Gianni Bella prima di sentirsi male e Mogol ci ha messo le parole. Patty Pravo vorrebbe Mille lire al mese per restare in equilibrio sul ritmo swing di una vecchia canzonetta. Non ce la fa perché il pezzo prevede irraggiungibile elasticità nel cantato.

Sottile e densa La notte dell'addio è una canzone d'amore eterno che Madonia intona con commovente intensità, complice Battiato, direttore d'orchestra. Gli anni Sessanta scorrono in sequenza nel gioco orchestrale che accompagna Il cielo in una stanza sino al sincopato scat della Ferreri. Nathalie aggiunge sospensione a una cover di Battisti, Luca Barbarossa e Raquel Del Rosario mantengono il profilo corretto di Addio mia bell'addio. Sacco e Vanzetti finiscono nell'enfasi acchiappatutto di Emma e Modà. Here's To You è una preghiera trasformata in un pezzo gridato e rockista, senz'anima.

Da Pezzali, con Arisa, ci si aspettava una versione 883 di Mamma mia dammi cento lire e invece Max emigra verso un sound simil Stax. Il professor Vecchioni è proprio in forma e regala pathos alla lettera di O surdato 'nnammurato, dichiarazione d'amore spedita nel cuore della Grande Guerra. Mandolino e chitarra, i violini pizzicati, poi l'orchestra entra a cose fatte per sottolineare l'impeto popolare della canzone e coinvolgere l'Ariston in un canto liberatorio. Giovanardi dei La Crus insegue il tempo di Parlami d'amore Mariù con proprietà di mood e linguaggio melodico. Il quadro più suggestivo e popular spetta a Tricarico L'italiano. Lui ne fa un versione confidenziale, intima, poi entra in scena Cutugno e infine un coro multietnico, immagine dell'Italia di oggi.

Ventotto anni dopo l'hit di Toto passa ad altre corde, ma serba il suo ché. Ma c'è una morale che deve suggerire la serata: bisogna aver rispetto delle canzoni, c'è da maneggiarle con cura, magari per stravolgerle, con sensibilità creativa.

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