«Per quell'acerbo dolore»
in scena alla «Cornabusa»

Sabato 1° settembre, alle 21, al Santuario della Cornabusa (Cepino), «deSidera Festival» -  in collaborazione con il Santuario della Cornabusa - presenta «Per quell'acerbo dolore», regia Piera Rossi, con Ferruccio Filipazzi, Miriam Gotti.

Sabato 1° settembre, alle 21, al Santuario della Cornabusa (Cepino), «deSidera Festival» -  in collaborazione con il Santuario della Cornabusa - presenta «Per quell'acerbo dolore», regia Piera Rossi, con Ferruccio Filipazzi, Miriam Gotti, musiche dal vivo Luca Rassu, scenografia Marco Muzzolon, assistenza tecnica Carlo Villa, Pietro Bailo, da un'idea di Eraldo Maffioletti, Enzo Guardalà.

Dopo il grande successo riscosso a Almeno San Bartolomeo (12 maggio) e a Locatello (29 luglio) deSidera ripropone al suo pubblico uno degli spettacoli più suggestivi del decennale del Festival, Per quell'acerbo dolore. Per questa data importante, ideale chiusura della stagione estiva di deSidera, lo spettacolo va in scena proprio nel luogo da cui ha preso le mosse. Proprio a partire dalle storie di uomini e donne che nei secoli scorsi hanno visitato il Santuario, che ospita il 1 settembre una replica dello spettacolo, l'autrice bergamasca, Giusi Quarenghi, ha costruito un testo che restituisce allo spettatore, attraverso la poesia della parola detta e della parola cantata, i sentimenti di fede e speranza che questo luogo ha suscitato e continua a suscitare.

Lo spettacolo rientra nel programma della festa annuale del Santuario che, su indicazione del Rettore del Santuario, alleghiamo con preghiera di diffusione o segnalazione.

Il Santuario della Cornabusa è almeno dal XIII secolo rifugio e conforto per quanti, di stanza o di passaggio nei territori circostanti, si sentono pellegrini sulla terra. "Il santuario più bello, perché costruito da Dio e non dagli uomini" come ebbe a dire Papa Giovanni XXIII.

Il Centro Studi della Valle Imagna ha offerto la documentazione di questa storica devozione popolare al Santuario, e Giusi Quarenghi ne ha ricavato lo spunto per una narrazione di storie di uomini e donne.

Lo spettacolo vedrà coinvolti un narratore accompagnato da una voce solista femminile e da un musicista.

Dal copione dello spettacolo
«Quante volte me lo sono sentito dire "Se fai il bravo ti porto.  Ti porto alla Cornamusa.
Alla festa di settembre alla Cornabusa. Ti porto, ma devi fare il bravo".
Io lo facevo il bravo, a modo mio, ma lo facevo.
Mi piaceva andare su alla Cornamusa.  Anche se i rosari della strada non finivano mai
Nel primo mistero doloroso si contempla Maria santissima dei dolori:
Regina dei Martiri, addolorata Maria, per quell'acuto dolore che vi trafisse allorquando vi fu predetta da Simeone la futura passione e la morte ignominiosa del vostro dilettissimo Figlio, vi supplico (aimaria - dì sö, dì sö bé! - aimaria grassiaplena, dosumustecum benedèta te e benedèt ol tò sccèt)
(madre) Sì, io vi supplico, Regina dei Martiri, addolorata Maria, io vi supplico per quell'acuto dolore che mi trafisse allorquando mi fu comunicato per voce del signor prevosto quello che era scritto nella lettera che aveva in mano e che era venuto a portarmi perché non era lettera da postino, quella.
E non era passione annunciata, ma passione passione già stata e anche morte, ignominiosa morte dei miei  dilettissimi figli, due, i miei erano due, il più grande e il più piccolo, morti dispersi nelle nevi di Russia, nel gennaio del '43.
Erano passati più di 10 anni e ancora, ancora piangeva la mamma addolorata.
E diceva che c'erano andati su, alla Cornabusa, ce li aveva mandati lei, dopo che erano stati chiamati, e che ce l'avevano addosso 'l madunì, la sacra maestà, che lei gliela aveva data e loro ben volentieri l'avevano presa. Ché nessuno se ne andava via, di quelli che partivano, per emigrare o chiamati alla guerra o anche solo al servizio militare, senza 'l madunì e senza un sasso della grotta, che prendevano quando andavano su, a chiedere di essere protetti e preservati; e dopo partivano, intrepidi e fiduciosi, sicuri di ritornare. Quando poi ritornavano avevano da raccontare  "i cimenti terribili incontrati e la prodigiosa salvezza ottenuta". E quelli che erano in grado di scrivere scrivevano, dovunque fossero in guerra: al seguito delle armate Napoleoniche, dalla Germania alla Russia o, sotto gli Austriaci, dai monti della Boemia e della Moravia, dai lontani Carpazi e dagli estremi confini della Croazia, dell'Ungheria e della Transilvania. E poi, dietro a Garibaldi, scrivevano dalla Sicilia e dalle Calabrie. Poi hanno scritto dall'Africa; e poi dalle trincee; e poi dall'Abissinia  e dall'Etiopia, dalla Spagna, dall'Albania, dalla Grecia, e dalla Germania e dalla Russia, ancora: guerre, guerre. E tutti che nelle lettere chiedevano di raccomandarli alla Madonna della Cornabusa. E, tornati, cosa facevano? Prima cosa e primo dovere, per tutti, era andare su alla Grotta, a ringraziare d'essere tornati». (dal copione dello spettacolo)

«Giusi Quarenghi mi ha fatto dono di questa narrazione sulla Cornabusa perché la mettessi in voce. Sono storie gonfie di dolore e di speranza, che testimoniano il nostro mai compiuto andare e venire per il mondo, ingenuo e faticoso, meschino ed eroico; nostro, di noi uomini e donne, a partire da chi è andato e venuto ben prima di noi.
Dal vivo, voci e suoni di strumenti antichi e moderni mi aiuteranno a raccontare pensieri ed emozioni».
Ferruccio Fiipazzi

«La Cornabusa. Mi ci portavano da bambina. Era una giornata esposta al dolore. La temevo.
Ci sono tornata recentemente. Ho ritrovato il dolore, e un luogo capace di prenderlo con sé.
Mi ha incantata la lingua delle Memorie del santuario raccolte da un sacerdote della valle, 1867, con anche le note e aggiunte di altro sacerdote bergamasco, 1892. Una lingua che documenta e racconta, ed è insieme testimonianza storica e culturale, resoconto di vissuti, indagine ed evocazione. Perché non riascoltarla?»
Giusi Quarenghi

© RIPRODUZIONE RISERVATA