Watson: «Contro il cancro
mangiate cavoli e non mirtilli»

James D. Watson è uno degli scienziati più importanti (e più controversi) del nostro tempo. Assieme ai suoi colleghi Francis Crick e Maurice Wilkins ha messo le mani, 60 anni fa, sul meccanismo della vita, la «doppia elica» del Dna.

James D. Watson è uno degli scienziati più importanti (e anche più controversi, quando parla di questioni etiche) del nostro tempo. Assieme ai suoi colleghi Francis Crick e Maurice Wilkins ha messo le mani, sessant'anni fa, sul meccanismo della vita, scoprendo la cosiddetta «doppia elica» del Dna, il meccanismo chiave degli esseri viventi e della loro riproduzione. Ha fatto cioè compiere alla scienza un enorme balzo teorico eppure è un uomo splendidamente concreto, oltre che animato da un umore positivo contagioso, quasi infantile.

Watson, che ha 84 anni, sta dedicando le sue energie a gettare un po' di luce sull'enorme palcoscenico oscuro dei tumori, cercando di evitare accuratamente ogni dichiarazione sensazionalistica ma al tempo stesso anche di indicare un po' la direzione che secondo lui è più promettente per comprendere e – non ha paura di dirlo – risolvere il problema.

Teatro Sociale gremito naturalmente, lunghe file di ragazzi in coda già molto prima dell'inizio dell'incontro in Città Alta, nonostante lo streaming sul web. In sala anche molti giovanissimi. Dopo aver ripercorso le tappe della sua incredibile scoperta, la «decifrazione del segreto della biologia», fino all'assegnazione del Premio Nobel nel 1962, Watson ha ricordato il suo debito verso grandi scienziati italiani come Salvatore Luria e Renato Dulbecco.

Poi ha rivelato ai ragazzi i segreti di una ricerca di successo: «Primo, scegli un obiettivo all'avanguardia, ma che sia anche qualcosa su cui non sta lavorando nessun altro; secondo, lavoraci solo se hai l'impressione che se ne potrà ricavare un successo tangibile entro qualche anno: non troppi; terzo, collabora con qualcuno che sia tuo pari dal punto di vista intellettuale», perché scoperte di grande importanza ormai si fanno solo in équipe; quarto, «rimani in stretto contatto anche con i tuoi concorrenti intellettuali», anche se non fossero esattamente delle persone simpatiche, come è accaduto a lui con Linus Pauling: «Mai pensare di fare tutto da soli».

È dal 1959, cioè da più di cinquant'anni, che Watson si occupa anche di tumori, e negli ultimi anni ha visto morire accanto a sé «molti amici» senza riuscire ad aiutarli, nonostante il Premio Nobel in tasca. Forse anche per questo non si è seduto sugli allori: «Il cancro oggi si cura, ma nel 50% dei casi si ripresenta: come mai – ci chiediamo – a un certo punto i farmaci non funzionano più? In questi decenni abbiamo sicuramente allungato un po' la nostra vita, ma purtroppo la Grande mietitrice ci aspetta sempre dietro l'angolo».

Watson sfata molti luoghi comunissimi su cancro e alimentazione, quelle mille raccomandazioni da cui siamo bombardati, pubblicate sui giornali di tutto il mondo. Tutte le precauzioni – mangiate poca carne, strafocatevi di carote, pomodori, arance... – allontanano davvero il rischio di ritrovarsi in corpo delle cellule impazzite? Watson è convinto di no, anzi, pensa che in alcuni casi possano rivelarsi addirittura controproducenti: «Non dovete mangiare mirtilli, non pensando, almeno, di tenere lontano il cancro in questo modo».

Un fattore decisivo per lui è «lo stress» a livello cellulare: «Ci rende più vulnerabili, attaccare una cellula sotto stress è più facile. Quello che dovremo studiare subito – io credo – è proprio la vulnerabilità metabolica delle cellule staminali tumorali: se riuscissimo a comprendere questo meccanismo molto probabilmente arriveremmo a curare anche il cancro».

Queste staminali deviate (altra sorpresa: le staminali non sono la panacea della medicina di domani) sono proprio «piene di antiossidanti» che le rendono in qualche modo «insopprimibili», inattaccabili, sfuggenti. Watson è convinto che possa essere lì il punto debole in cui attaccare la proliferazione di cellule cancerose: «Dobbiamo trovare una nuova terapia che abbassi il livello di questi anti-ossidanti». E a quei milioni di persone che assumono ogni giorno proprio antiossidanti convinti di combattere in questo modo i tumori dice che rischiano di ottenere persino l'effetto opposto: meglio l'acido acetil-salicilico allora, che si è rivelato – a sorpresa per gli scienziati – un farmaco protettivo, meglio «i cavoletti di Bruxelles» che lui stesso ha raccomandato alla moglie di cucinargli tutte le settimane, anche se non gli piacciono granché.

Non vuole alimentare illusioni, non vuole «titoli ad effetto sui giornali» ma dice che tra «una ventina d'anni non mi sembra irrealistico pensare» ad anti-tumorali di nuovo tipo efficaci, magari pastigliette e non bombardamenti di raggi e di chimica pesante: «Sono un ottimista». Guardandolo sorridere, in mezzo ai ragazzi, viene da pensare che anche lì si nasconda il segreto del suo successo: «Ho avuto lunga vita».

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