A tavola, ma con un buon libro
La Buona Stampa parla di cibo

La data è il 7 febbraio, giovedì grasso, l'orario le 18. Il luogo è il ristorante «Mille. Storie & Sapori», viale Papa Giovanni 18, Bergamo. La libreria Buona Stampa ha scelto coordinate ad hoc per la presentazione del libro «A tavola! Gli italiani in 7 pranzi» (Laterza, 2012).

La data è il 7 febbraio, giovedì grasso, l'orario le 18. Il luogo è il ristorante «Mille. Storie & Sapori», viale Papa Giovanni 18, Bergamo. La libreria Buona Stampa ha scelto coordinate ad hoc per la presentazione del libro «A tavola! Gli italiani in 7 pranzi» (Laterza, 2012).

A dialogare con l'autrice, Emanuela Scarpellini, docente di Storia contemporanea all'Università di Milano, sarà Elio Ghisalberti, critico eno-gastronomico de L'Eco di Bergamo. Introduce Claudio Calzana, direttore della Buona Stampa. Poi, si mangia: tanto (chi voglia) e bene. Con maggiore «politeness»: «Seguirà rinfresco a tema».

Il libro della Scarpellini prova a ricostruire la storia degli italiani a tavola dall'Unità ai giorni nostri, prendendo le mosse da alcuni banchetti reali, fondandosi su fonti storiche, letterarie, artistiche, e insomma varie e diverse.
Come è cambiata la tavola degli Italiani, o come sono cambiati gli Italiani a tavola, dall'Unità ad oggi?
«Molto è cambiato, a iniziare dal fatto che oggi mangiare almeno un pasto di base non è più un lusso per pochi. Ancora nei primi anni del '900 solo una ristretta élite poteva permettersi di mangiare tanto e in modo variato. La carne era un privilegio per i ricchi. Con il secondo dopoguerra il reddito delle famiglie è salito, carne, zucchero, caffè e molto altro sono stati alla portata di tutti. Gli elettrodomestici poi hanno permesso di conservare di più e meglio gli alimenti. C'è stato un processo di "democratizzazione" della tavola».
Lei dedica un capitolo alla tavola durante il Fascismo. Come si mangiava in tempi di autarchia?
«Il regime fece molte campagne sul cibo, a cominciare da quella autarchica che invitava tutti a mangiare italiano. Insistente fu la propaganda a favore del consumo di riso e di pesce, per cercare di limitare l'importazione di grano e carne bovina: il popolo italiano era parco - si diceva - e quindi era più virtuoso di altri ("Chi mangia troppo deruba la Patria", diceva uno slogan del tempo). Con la guerra la situazione peggiorò. Il razionamento fece quasi sparire dalle tavole degli italiani molti alimenti basilari, fra cui l'amato caffè, sostituito da un'amara cicoria».
Può ricostruire il menù di un pranzo «storico»?
«Un pranzo contadino di inizio Novecento era semplicissimo, il cibo era povero e monotono. Le donne iniziavano per tempo a preparare la polenta; quando era pronta, la servivano in una scodella, insaporita con quello che c'era: un po' di latte, qualche verdura o un pezzetto di formaggio, un po' di condimento. L'alternativa era la minestra, nel cui brodo finiva praticamente di tutto (soprattutto verdure dell'orto, patate e legumi), da consumare con un po' di pane (non quello bianco raffinato di oggi, ma quello fatto in casa con farine non pregiate) o magari con la polenta del mezzogiorno. La carne era rarissima, il pesce (di fiume o lago oppure baccalà) pure. L'unica soddisfazione, soprattutto per gli uomini, era il vino. La situazione cambiava nei giorni di festa: allora si mangiava in abbondanza».
Si è perso molto, in questi decenni, in termini di genuinità, sapori, sapienza culinaria?
«Per certi versi, il successo della cucina italiana nel mondo ci dice che molto della tradizione antica è rimasto. Certo, molte cose sono cambiate, soprattutto per il peso assunto dalle industrie alimentari. D'altra parte, questi cibi industriali sono molto più controllati e igienici degli alimenti sfusi di un tempo. Forse si è stabilito un nuovo equilibrio e la nuova attenzione dei giovani per la cucina è promettente».
Infine: cosa ci riserva il futuro?
«Il futuro vedrà senz'altro molti cambiamenti in campo alimentare. Pensiamo già oggi a prodotti che prima non esistevano (quelli light per dimagrire, gli integratori alimentari, gli ogm). La trasformazione è una legge inevitabile, che è stata sempre all'opera. L'importante è sapere mantenere alcuni prodotti di fondo e le conoscenze gastronomiche, insieme all'idea che mangiare è più di un semplice modo di alimentarsi, ma rappresenta una forma di cultura. In ogni caso, il futuro è quello che stiamo decidendo già oggi con le nostre scelte in fatto di cibo e ambiente».

Vincenzo Guercio

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