«Oh Lady, Lady Oscar!»
Il revival fa furore su Boing

C'era una canzoncina, tanto tempo fa. La ricordano quelli che negli anni '80 erano bambini o poco più: «Oh Lady, Lady Oscar, tutti fanno festa quando passi tu», era il ritornello.

C'era una canzoncina, tanto tempo fa. La ricordano quelli che negli anni '80 erano bambini o poco più: «Oh Lady, Lady Oscar, tutti fanno festa quando passi tu», era il ritornello. Era la sigla italiana di «Lady Oscar», l'anime per la tv (cioè la serie a cartoni animati) che prima Tadao Nagahama e poi Osamu Dezaki trassero dal fumetto di Riyoko Ikeda: la sigla arrivò addirittura al settimo posto dell'hit parade, in anni in cui i dischi vendevano ancora.

Per questo Boing trasmette di nuovo questo cartone, alle 22.05 di venerdì, con quella stessa etichetta «Febbre 80» con cui già rimanda in onda «Occhi di gatto» o «Georgie». È una bella strizzata d'occhi ai genitori dei bambini di oggi, che sono il pubblico d'elezione della rete (ad aprile 0,68% di share medio). Ne abbiamo già parlato: una regola non scritta dei prodotti per bambini (incluse le reti tv) dice che essi saranno comprati se piaceranno ai genitori. Tutto sta a decidere quale lato dei genitori stuzzicare. Però non c'è solo questo: il revival fa leva sulla nostalgia, ma certi cartoni appartengono alla storia televisiva del genere, e fanno da retrospettiva. Per questo «Lady Oscar» merita una menzione. Il fumetto di Riyoko Ikeda, uscito nel 1972 tra grandi perplessità dell'editore, fu uno dei maggiori successi di sempre della letteratura disegnata.

La fonte era la biografia di Maria Antonietta del grande Stefan Zweig. La Ikeda mise insieme romanzo storico e «cappa e spada», più un'incredibile scrittura (per i tempi) sull'ambiguità di genere e l'erotismo: due aspetti che la versione italiana della serie tv censurò quasi totalmente, sobbarcandosi una faticaccia che stravolse l'opera al limite dell'incomprensibilità. Con un triplice paradosso: quello era un cartone per adulti e noi riuscimmo a farne un cartone per bambini, che adesso sono cresciuti e se lo rivedono volentieri, magari ridendo degli evidenti segni delle censure passate. E della spregiudicatezza (o sciatteria?) editoriale di quegli anni.

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