Storia di «ordinaria deportazione»
Yad Vashem, 3 ebrei bergamaschi

Tre storie di ordinaria deportazione, nella tragedia della Shoah. Vittime tre ebrei bergamaschi, le cui vicende sono state ricostruite, sulla base dei dati disponibili allo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme, da Pierluigi Facchetti.

Tre storie di ordinaria deportazione, nella tragedia della Shoah. Vittime tre ebrei bergamaschi, le cui vicende sono state ricostruite, sulla base dei dati disponibili allo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme, da Pierluigi Facchetti, agente di commercio di Lurano, 52 anni, sposato, appassionato di viaggi («è il 56° paese che visito»), oltre che di storia ed archeologia.

«A settembre – racconta Facchetti – al Centro di documentazione delle vittime ho avuto l'opportunità di accedere al database dell'archivio, che contiene le schede personali delle sei milioni di vittime. Per curiosità ho voluto verificare se ci fossero state vittime tra gli ebrei bergamaschi; ne ho trovate tre».

Tiburzio Somogy «nasce il 16 giugno 1910 a Fiume, città allora dell'impero austroungarico, da Marco e Clara Guttemberg». Dopo la prima guerra mondiale, e la conseguente questione fiumana, «si trasferisce a Bergamo». Non è dato di sapere «il suo stato sociale, la sua occupazione, se avesse una famiglia». Nonostante le leggi razziali (1938) e lo scoppio della guerra, «Tiburzio continua a vivere a Bergamo», e qui, dopo l'8 settembre 1943, viene arrestato e deportato ad Auschwitz. Per sua sventura, prima dell'ingresso dell'Armata Rossa nel campo, il 27 gennaio del '45, Somogy era stato trasferito a Dachau – «probabilmente in una "marcia della morte"» – dove giunge certamente vivo il 4 febbraio. Qui Tiburzio muore, non si sa esattamente in che data. Il campo di Dachau sarà liberato dagli americani il 29 aprile.

Joseph Hakim nasce a Bergamo il 12 dicembre 1906. Di lui si sa davvero poco, né dati anagrafici completi, né occupazione, né stato civile. Si sa solo che allo scoppio della guerra si trovava in Francia. Forse era emigrato dall'Italia per le leggi razziali? «È solo una supposizione». Scelta comunque sfortunatissima: se per i suoi correligionari italiani, infatti, la situazione era di relativa, preoccupante tranquillità, fino all'8 settembre 1943, per lui la sciagura inizia ben prima. Il regime collaborazionista di Pétain, pur antisemita, si rifiuta di consegnare ai tedeschi gli ebrei di nazionalità francese, specie se risiedono nella zona di competenza del regime di Vichy. Ma Joseph è italiano residente in Francia e quindi viene arrestato, consegnato alle SS e deportato da Compiègne ad Auschwitz Birkenau il 27 marzo 1942. Qui viene assassinato, non si sa esattamente in che data.

Lina Milla, di famiglia marchigiana, nasce a Urbino il 10 luglio 1901 da Ernesto e Giulia Levi. Si sa per certo che vive nella Bergamasca già ben prima dello scoppio della guerra. Occupazione e stato civile «ignoti». L'arresto avviene nel settembre del 1943 a Verdello – nella scheda dell'archivio dello Yad Vashem, erroneamente, Verderio, provincia di Bergamo –, dove risiede. A poca distanza, fra parentesi, da Lurano, dove risiede lo stesso Facchetti. Da Verdello Lina viene «prima condotta nel carcere milanese di San Vittore e da qui deportata, in tempi brevissimi, ad Auschwitz. A questo punto le date sono contraddittorie. Da una parte della documentazione si desume che Lina venga uccisa appena arrivata al campo di sterminio, nel settembre 1943. In altra parte della documentazione è scritto invece che arriva solo l'11 febbraio 1944. Resta che ha lasciato la vita nel campo di sterminio.

La «Tenda dei Bambini»
«Ho comunicato gli esiti di questa ricerca – conclude Facchetti – affinché ci si ricordi di questi nostri tre sfortunati concittadini. Le persone muoiono definitivamente solo quando non si ricorda più nulla di loro». È proprio perché non si disperda la memoria delle vittime che è stato istituito il centro documentale presso lo Yad Vaschem: nel museo della Shoah vi è la cosiddetta «Tenda dei Bambini». Numerosi bambini ebrei sono stati uccisi assieme all'intero nucleo familiare. Nessun superstite che avesse un pur minimo legame di parentela con loro. Nessun lontano parente vivo alla fine della guerra. Nessun familiare, dunque, che avesse memoria di loro, potesse ricordarli e piangerli.
In questo edificio appositamente dedicato a loro una voce registrata continua incessantemente ad elencarli: nome cognome età e nazione di provenienza. Infine, un auspicio, e una preghiera ai rispettivi sindaci: «Sarebbe bello che il comune di Bergamo e di Verdello mi permettessero di accedere all'archivio storico dell'anagrafe (legge sulla privacy ed italica burocrazia permettendo), in modo che io, o chi per me, possa acquisire ulteriori dettagli anagrafici, di cui manderei copia allo Yad Vashem, arricchendo così le schede personali dei nostri perseguitati ebrei bergamaschi. Credo che sia loro dovuto almeno questo».

Vincenzo Guercio

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