Tutte le canzoni di Sanremo
E le nostre pagelle ai Big

Sono ventisei le canzoni in gara al 59° Festival di Sanremo, da martedì 17 a sabato 21 febbraio: 16 dei Big e 10 dei Giovani. Le abbiamo ascoltate in anteprima: ecco artisti e titoli dei brani con le nostre pagelle, ma solo ai Big (e che trovate anche su «L'Eco» in edicola lunedì 16 febbraio).

I BIG
AFTERHOURS 7 - «Il paese reale» in una ballata acustica e rock, con Manuel Agnelli che ammorbidisce la linea delle melodie, non delle parole.
ALBANO 6 - «L’amore è sempre amore» anche nella nostalgia di una romanza in stile «Con te partirò». Buona per le platee del mondo. Meglio del Carrisi pop. Qui si vola alto nel vortice passionale del melodramma.
ALEXIA-LAVEZZI 4 - «Biancaneve», favola a due, a tempo di rock anni Settanta. Dialogo monocorde, con Alexia che viaggia fuori linea, e Lavezzi che fatica a tenere il timone. Il Paradiso sono io, in rima con amore mio.
MARCO CARTA 4 - «La forza mia» e di una ballata pop che si avvita sulle chitarre acustiche. Bacio ad acqua salata, per una melodia facile che arriva in FM, con ritmo fresco e giovane.
DOLCENERA 5
- «Il mio amore unico» ha un riff che rimbomba. Il resto scorre anodino, con grinta spuntata. Dolce non è qui che troverà il rilancio. Piccola forza al servizio di un brano che gira gira e fa fatica a lasciare il segno.
GEMELLI DIVERSI 6 - «Vivi per un miracolo» al ritmo tronco del rap. Preghiera hip hop ad alto tasso melodico, con la voce trattata al voocoder che melodizza parole sul pianeta così com’è. Buonismo di complemento.
FAUSTO LEALI 5
- «Una piccola parte di te» con i ranocchi in gola e i ricordi di una vita che martellano in testa. Quando crescono i figli… tutto ritorna, ma cambiano i ruoli, con la voce che manda soltanto un brivido blu.
MARCO MASINI 6 - «L’Italia» di Aldo Moro assassinato, un Paese dove tutto va male. Ecco l’Avvelenata di Masini. I soldi sono lo sterco del diavolo, e l’Italia è un paese che rimane tra i pali, Come Zoff. Terra di ragazze stuprate. L’Italia senza attributi.
NICOLAI-DI BATTISTA 6 - «Più sole» per una ballad morbida con il sax che introduce il gioco favorito del jazz canzone. Ancora compagni di squadra, per una song che cita il passato, senza trovare il futuro.
PATTY PRAVO 5
- «E io verrò un giorno là» per prenderti la mano. Con le erre arrotate e Patty che mastica le parole di una melodia avvolgente, arrotolata su se stessa. L’invocazione è semplice: non lasciarmi mai sola.
POVIA 5 - «Luca era gay» e adesso sta con lei. La confusione psicosessuale secondo Povia. Genitori a monte dei problemi. Freudianamente melodica, con ritmo.
PUPO-BELLI-N’DOUR 6 - «L’opportunità» di parlare d’integrazione, con garbo. Tra «Che sarà» e qualcos’altro, con la voce di Yossou N’Dour un po’ sprecata, anche se la furbizia del brano fa novanta.
FRANCESCO RENGA 8 - «Uomo senza età» secondo il canto melodioso di Francesco. «L’angelo» bis è quasi una romanza perfettamente funzionale al cantato della migliore voce del festival. Nessun dorma, potrebbe rivincere!
SAL DA VINCI 4 - «Non riesco a farti innamorare» suona in stile D’Alessio. Ho voglio di capire dove è finito il tuo amore. Non è difficile trovare la strada che arriva al cuore di una melodia come altre mille già sentite.
TRICARICO 7 - «Il bosco delle fragole» si avvolge su una cantilena che funziona. Francesco è un outsider surreale. Cane canissimo, furbo furbissimo, solo solissimo. Unico graffio di alterità al Festival, stonature comprese.
IVA ZANICCHI 5 - «Ti voglio senza amore» sincopata, e indipendente, con la morale persa nel labirinto del cuore. Amore in pendenza fa rima con senso di incoscienza. Iva si tiene stretta a una canzone piena e bluesy, con il canto che cresce e si distende nel classicismo di una canzone in stile moderno-sanremese.

I GIOVANI
SILVIA APRILE - «Un desiderio arriverà» sulle ali di una canzone scritta da Pino Daniele. Per ogni donna c’è una stella. Le donne vivono d’amore, con dignità, pronte a stupire in un ritorno. Sono come il mare che abbraccia forte la città.
IRENE - «Spiove il sole» in città, con solennità zuccherosa. Lui se ne va, freddo fiore, e lei va in crisi, mentre il pezzo continua gonfiando i polmoni all’orchestra, sino a quando la voce in stile black s’impenna e i cori sfumano ad libitum.
ISKRA - «Quasi amore» per una quasi nuova proposta. Lei la manda Lucio, ma canta da una vita, bene, senza problemi d’intonazione. Corista promossa sul campo dell’Ariston. La vita è come un film già visto.
FILIPPO PERBELLINI - «L’orgoglio» di Cocciante: smarrito, ferito, confuso, deluso, offeso. Lo stile è inconfondibile tra «Notre dame de Paris » e «Cervo a primavera», una canzone come tante.
CHIARA CANZIAN - «Prova a dire il mio nome» e verrà fuori Chiara figlia d’arte e dei Pooh. La canzone viaggia sicura tra classicismo e modernità. Melodia avvolgente, per parlare d’amore. Che altro!
MALIKA AYANE
- «Come foglie» in movimento lento, seguendo il sesto senso. Malyka è una ragazza sensibile e di buona voce. La porta qui zia Caterina e avrà successo. Canta una non facile canzone di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Tutto in famiglia Sugar.
BARBARA GILBO - «Che ne sai di me», pulcinella con la sottana. Con le voci del mondo che intercalano una melodia facile e circolare, e Barbara che canta la verità in rima: Cinecittà non fa più cinema.
KARIMA
- «Come in ogni ora» la classe compositiva di Burt Bacharach. Lei mette la voce, il maestro la scrittura di un vecchio classico che nobilita il Festival al di là dei risultati. La classe non è acqua. Gocce di note su di noi.
ARISA - «Sincerità» con tanto di complice di una storia magica. Elemento imprescindibile per una canzoncina che non punta all’eternità, ma suona con simpatia e può andare per ore senza stancare. Freschezza slide. Sincerità è scoprire tutti i lati deboli.
SIMONA MOLINARI
- «Egocentrica» e lunatica, cerca attenzione di uomini golosi che fan rima con simbiosi. Simona ha scritto una canzone divertente, senza troppe acrobazie. Appena jazzy, con intrigante sussiego.

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