Cultura e Spettacoli
Giovedì 12 Marzo 2009
Dapporto e i due «gemelli diversi»
incantano il Teatro Donizetti
Regia di Antonio Calenda; scene di Pierpaolo Bisleri; costumi di Elena Mannini; luci di Sergio Rossi; musiche di Germano Mazzocchetti. Messinscena quanto mai sobria. Testo recitato con filologica osservanza, senza alcuna infrazione.
Solo vivacizzato, parcamente, rispetto alle asciutte didascalie goldoniane, nella recitazione (ai «Comici», del resto, era da sempre riservata, a tal fine, ampia libertà di interpretazione). Per esempio con due inserti «musical», brevi parti cantate. O nella caricaturale mimica da ipnotizzatore, incantatore di serpenti, dell'infido Pancrazio. In una pièce come questa, ovvio, il ruolo del primattore «sdoppiato», che interpreta contemporaneamente due ruoli opposti e centrali, è specialmente decisivo. Un pezzo di bravura.
Un testo costruito attorno all'eccellenza di un interprete singolare. Goldoni dichiara a più riprese di aver concepita la commedia pensando al suo «valorosissimo» Pantalone: in Cesare D'Arbes, ricorda per esempio nei Mémoires, «avevo notato due movimenti opposti... A volte era l'uomo di mondo più ridente, brillante e vivace; a volte assumeva l'aria, i tratti, i discorsi d'un sempliciotto, d'un balordo…
Tale scoperta mi suggerì l'idea di farlo comparire sotto quei due aspetti nello stesso lavoro». In tale duplice ruolo Dapporto, applauditissimo, se la cava egregiamente. Sia nei panni dello «spiritoso» (in senso etimologico) e «disinvolto» Tonin, sia in quelli dell'«alocco», «mamalucco», «gnocco» Zanetto (ahinoi) «da Bergamo». Che, pur parlando in veneziano, è stato allevato «in Val Brembana».
E spesso, di fronte alle complicazioni della città (Verona), se ne vuol tornare «a Bergamo», «alle montagne, dove son stà arlevà». In un testo grondante amor di «Patria» sin dalle prime righe, apologetico ben oltre il comico dell'ospitalità, del grande «cor», del patriottismo dei veneziani, il gemello tonto viene, naturalmente, dalle più rustiche province occidentali. Il suo nome, di più, è ricalcato su quello dello «Zane» o «Zanni», il servo sciocco (in questo caso) della commedia dell'arte. Questo secondo ruolo, in particolare, da Forrest Gump ante litteram, «sciocco» e tenero, «ruvido» e ingenuo, era tutt'altro che facile.
Dapporto sa coniugare comicità e tenerezza, far ridere e insieme compiangere. Tratto innovante del testo, con cui Goldoni rivendica di aver rinverdito l'usurata tipologia, è proprio questa antipodica differenza di caratteri, che poggia sull'eccellenza del protagonista. Ma, altro punto «speciale», con cui si sfida la tradizione della commedia ed insieme il precetto oraziano che vieta la rappresentazione «de visu» dei fatti drammatici, è la morte in scena, con tanto di spasmi e prolungata agonia, di Zanetto. Che, paradossalmente, «non reca all'uditore tristezza alcuna, ma lo diverte per la sciocchezza ridicola, con cui va morendo il povero sventurato» (cosa «che non so a qual altro Comico Poeta sia mai riuscita»). D'Arbes riusciva a far «smascellare» dalle risa «gli spettatori universalmente».
Anche Dapporto è riuscito a far sentire tante risate, in un Donizetti colmo in ogni ordine di posti, di fronte agli «ultimi respiri» dell'avvelenato Zanetto. Ma, insieme, un non so che di compatimento e tristezza, per la sorte dello sciocco beffato, che, in fondo, muore solo per bisogno d'amore.
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