Peghera, dopo otto anni
torna la pala di Palma il Vecchio

Torna nella sua collocazione originaria, nella sua sede storica e «propria», la chiesa parrocchiale di San Giacomo a Peghera (frazione di Taleggio), un importante polittico di Jacopo Negretti, più conosciuto come Palma il Vecchio (Serina, Bergamo, 1480 ca.-Venezia 1528), illustre pittore di scuola veneziana, allievo di Giovanni Bellini.

Il dipinto, noto come «pala di San Giacomo», è ascritto, dal più autorevole studioso del pittore, Philip Rylands, al 1515 circa. È un polittico a due ordini, composto da sette tavole su legno. Una lunetta con il Padre Eterno; Sant'Ambrogio, Cristo sorretto da un angelo e Sant'Antonio abate, a mezzo busto, nel registro superiore. A figura intera, nel registro inferiore, San Sebastiano, San Giacomo (ovviamente al centro), San Rocco.

Dal 2002 il dipinto era in restauro presso l'Opificio della pietre dure di Firenze. «L'opera - spiega don Ernesto Vavassori, amministratore parrocchiale della chiesa di Peghera, docente di Storia e filosofia al Collegio Sant'Alessandro, nonché uno dei "motori" primi dell'iniziativa - nel 2001 era stata richiesta dall'Accademia Carrara per la mostra "Bergamo l'altra Venezia" (aprile-luglio 2001). Secondo gli accordi l'Accademia si impegnava a fare l'intervento di restauro.

Prima della mostra non c'era tempo, in esposizione sono andate alcune tavole ripristinate alla meglio. Lo stato di conservazione era precario. Grazie all'intervento della Sovrintendenza di Milano, in particolare della dottoressa Emanuela Daffra, il dipinto è stato inserito in un progetto per cui del restauro si è fatto carico l'Opificio delle pietre dure di Firenze, dove è arrivato nel 2002.

Il lavoro è molto pregevole. Per la prima volta si provvede non solo al manto pittorico, ma si è andati a lavorare in modo molto significativo sul supporto ligneo. Il legno, muovendosi, inarcandosi, deteriorandosi, era il punto più debole. Anche la cornice, moderna, dei primi del Novecento, è stata sistemata. Ora il quadro ritorna finalmente nella sede in cui è sempre stato, da secoli. Una posizione molto alta, bella, ove troneggia su tutta la chiesa: nel catino absidale, sopra l'altar maggiore».

Tutti i dettagli su L'Eco di Bergamo del 31 luglio

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