Il Festival di Locarno rende onore a Ermanno Olmi

Il Festival di Locarno rende onore a Ermanno OlmiIl regista bergamasco riceverà il Pardo d’onore, prestigioso premio alla carriera

La conferma, da parte del direttore Irene Bignardi, che il prossimo Festival di Locarno gli assegnerà il Pardo d’onore (lo scorso anno attribuito a Ken Loach e in precedenza a Sidney Pollack, Bernardo Bertolucci e altri grandi cineasti) raggiunge Ermanno Olmi a Berlino dove il festival ha inserito «Cantando dietro i paraventi» tra le proiezioni speciali.

Un Olmi soddisfatto e sereno, che parla del recente film, della scoperta di Carlo Pedersoli - Bud Spencer, dell’assurdità del mondo e del suo desiderio di pace.

In Italia «Cantando dietro i paraventi» è andato meno bene di quanto ci si aspettasse...

«Sì, non ha avuto il riscontro che si sperava avesse - dice -. Forse abbiamo sbagliato a confidare nella forza del pensiero. In questo film abbiamo dato rilievo allo sviluppo di un pensiero, di un ragionamento. Il mestiere delle armi puntava più sull’emotività, c’erano elementi di mistero che fanno salire l’attenzione e la partecipazione, qui puntavo al ragionamento».

Da cosa è nata la decisione di fare questo film?

«Come tutti sono rimasto colpito dall’11 settembre e da quello che è successo dopo, le sempre più frequenti vigilie di guerre e le guerre. Volevo parlarne attraverso il mio lavoro. L’11 settembre ha avuto tanto rilievo perché tragedia di una società ricca e potente; se il principe muore tutti piangono o fanno finta di farlo, se muore il povero fuori le mura nessuno ci bada. Ogni giorno ci sono almeno 3 o 4 undici settembre con molti più morti in tutto il mondo a causa delle ingiustizie, ma questi non fanno notizia. Mi chiedo perché condanniamo la violenza solo se colpisce chi consideriamo intoccabile. A Nassiriya sono morti degli italiani di cui sappiamo tutto e 6 iracheni, solo il numero è stato detto, non sappiamo neanche i loro nomi. Io non voglio giudicare, ma c’è qualcosa di sbagliato e tutti dobbiamo porci il problema. Molte città hanno dedicato vie e piazze all’11 settembre ed è giusto, ma perché nessuno si occupa degli 11 settembre che si verificano ogni giorno in Africa o in Asia?»

Il messaggio del film è di perdono e di pace.

«Religioni, filosofie, ideologie, idee politiche non hanno mai salvato il mondo, anzi l’han complicato. L’unica speranza è nelle favole, anche se può sembrare ingenuo. Il mio film è su un’utopia, sulla speranza che il dialogo possa essere una possibilità per la pace. Perché Bush non è andato a Baghdad prima di fare la guerra? Perché non ha tentato il dialogo anziché minacciare? Per salvare chi è morto e chi ancora morirà in questa guerra l’unica strada era il dialogo, un gesto patetico tanto è azzardato».

Protagonista è Carlo Pedersoli, una novità per chi lo conosceva come Bud Spencer in film tanto diversi. Come l’ha conosciuto? Aveva visto i suoi film?

«Come tutti quelli che si consideravano di un livello intellettuale un po’ più alto non mi ero mai preoccupato di vedere quei film. Poi mi capitò d’essere a letto ammalato e di vederli in televisione e di fare una scoperta: sono fatti benissimo e hanno una grande carica di simpatia, una consonanza tra protagonisti e pubblico. Il popolo ha riconosciuto subito il valore di quei film, semplici ed efficaci, delle favole dove buoni e cattivi sono ben distinti, ma i buoni non sono santi e i cattivi non sono demoni. Oltre al godimento si ricavano insegnamenti morali, perché rappresentano i conflitti innati dell’umanità ma senza pregiudizi di razza, religione o politica. E già in partenza è previsto il perdono: per il cattivo c’è una sculacciata non una condanna. Ora farei un film con Bud Spencer e Terence Hill, magari trovandoli nella quarta età - io sono ormai un regista da portantina - con gli acciacchi. Non possono più fare a cazzotti ma danno cazzotti ben più forti».

(09/02/2004)

© RIPRODUZIONE RISERVATA