La prosa al Donizetti apre con Cechov

Con Zio Vanja di Cechov, che apre la stagione venerdì 14 novembre, tornano al Donizetti alcuni nomi noti del teatro italiano. Su tutti, senza fare torto agli altri, Sergio Fantoni, che firma la regia, Andrea Giordana e Ivo Garrani. Con loro, sono in scena anche Francesco Biscione, Marioletta Bideri e Laura Nardi. Le scene sono di Nikolas Bocby e i costumi di Annamaria Heinrich.

Quando Zio Vanja andò in scena, nel 1899 a Mosca, il suo autore, Anton Cechov, aveva 39 anni e aveva appena finito di essere un perdente di discreto successo. Era uno scrittore affermato, e a poco più di vent’anni era anche riuscito ad interessare il pubblico dei teatri con una serie di atti unici comici, pungenti e rapidi. Ma la prima versione di Ivanov (1887) era stata un fiasco, Lo spirito della foresta (1889) era caduto clamorosamente e il debutto de Il gabbiano (1896) era andato malissimo.

C’era di che scoraggiarsi, e infatti il dottor Cechov (non cessò mai la professione di medico) giurò che mai più avrebbe scritto un dramma: "Vivessi ancora settecento anni". Mentiva spudoratamente, per fortuna. Nel 1898 incontra due giovani registi, Vladimir Nemirovic-Dancenko e Kostantin Stanislavskij, che hanno appena fondato il Teatro d’Arte. Nemirovic-Dancenko è suo amico, e meno male, perché altrimenti il sodalizio con Stanislavskij, così esigente, duro e "integralista" sul lavoro, non sarebbe mai neppure nato.

Lo convinsero a riprendere Il gabbiano. Gli promisero la rivoluzione teatrale, e furono di parola: prove lunghissime, minuziose sedute di lettura, allestimenti curati, un rapporto dialettico ma fecondo con l’autore, attori pronti a sacrificare vanità e capricci in nome del collettivo. Fu un trionfo. Di seguito, benché già prostrato dalla tisi, Cechov scrisse Zio Vanja (rielaborando Lo spirito della foresta) e Tre sorelle, tra il 1899 e il 1900. Altri trionfi. Il giardino dei ciliegi richiese più tempo: lo scrittore era ormai allo stremo. Riuscì a vederne il debutto: era il 17 gennaio 1904. Accanto a lui c’era l’attrice Olga Knipper, conosciuta proprio durante le prove di Zio Vanja e sposata poco dopo. Morì il 2 luglio. La sua rivoluzione era durata sei anni: bastarono a cambiare il teatro per sempre.Il prosieguo della stagione (8 titoli, per un totale di 10, contro gli 11 dello scorso anno) può essere diviso, per comodità, in gruppi. Ci sono i musical, tornati in auge nella seconda metà degli anni ’90 e da allora saldamente ai primi posti nelle classifiche del pubblico italiano. Due sono quelli previsti. The Full Monty è la versione italiana, diretta da Gigi Proietti, della trasposizione del film di Peter Cattaneo (27 dicembre-4 gennaio). In scena, al posto di Giampiero Ingrassia, ci sarà Roberto Bani. Il secondo è Il ritratto di Dorian Gray (6-15 febbraio), ispirato al romanzo di Oscar Wilde, firmato da Tato Russo.

A questi si aggiungono due commedie brillanti: Funny Money del rappresentatissimo Ray Cooney con Marco Columbro (9-18 gennaio) e Il paradiso può attendere, il maggiore successo di Henry Segall con Gianfranco D’Angelo (12-21 marzo). Sono sempre commedie, e ricche di gag, anche Sior Todero brontolon di Carlo Goldoni, con due attori di classe come Eros Pagni e Ivana Monti (23 gennaio-1 febbraio) e La scuola delle mogli di Molière, in cui Jacques Lassalle ha diretto Giulio Bosetti (27 febbraio-7 marzo). La differenza è che queste appartengono a ciò che comunemente chiamiamo "prosa": classici rivisitati da registi-interpreti, attori di nome e produzioni di qualità. In una parola, l’espressione dell’artigianato teatrale italiano.

A metà strada tra le commedie brillanti e le produzioni di prosa ci sono i titoli dell’ultimo gruppo (ultimo per necessità di esposizione, ovvio). Con I due gemelli napoletani Tato Russo (ancora lui: ma non era meglio dedicargli una "personale", dando un senso più forte alla sua contemporanea presenza con due lavori?) traduce in lingua e salsa partenopea un "superclassico" come i Menecmi del latino Plauto (16-25 aprile). E con La pulce nell’orecchio torna il vero, grande maestro della farsa moderna, Georges Feydeau, messo in scena (26 marzo-4 aprile) da un ottimo cast: Paolo Bonacelli, Patrizia Milani e Carlo Simoni, diretti da Marco Bernardi, con la produzione dello Stabile di Bolzano (un altro di quelli presentabili, e anche qualcosa di più).

Informazioni utili

Orari spettacoli: 20.30, 15.30 la domenica.

Ingresso: euro 26/10, ridotti 18/6, Giovanicard 10/4.

La biglietteria è aperta nei giorni di debutto dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 20.30, nei giorni di replica dalle 13 alle 20.30, la domenica dalle 14 alle 15.30.

Info: http://teatro.gaetano-donizetti.com, tel. 035/4160602.

(11/011/03)

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