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“La scuola non è un parcheggio” e altre frasi sui figli e la pandemia che i genitori si sono stufati di sentire

Articolo. Madri e padri alle prese con la chiusura delle scuole sono come acrobati bendati su un filo sempre più sottile. In più, rischiano di vedersi bollare come dei lamentosi che crescono pargoli viziati, o anche degli incoscienti che non si rendono conto della pandemia in corso. E le frasi fatte di chi non vive la situazione sono inutili e irritanti

Lettura 4 min.

Ci risiamo: anche in Lombardia, anche a Bergamo, hanno richiuso tutte le scuole. Elementari (pardon, primaria) e scuola dell’infanzia comprese, che da settembre erano riuscite a rimanere aperte. Negli ultimi giorni i genitori non hanno fatto che lambiccarsi fra circolari e direttive, con indicazioni poco chiare e contraddittorie. Come quella dei figli dei lavoratori essenziali, che in teoria potrebbero andare in classe, ma forse no, decide la scuola. Oltre all’interrogativo, angoscioso, di che fine faranno i nostri bambini, ci troviamo a misurarci con alcuni luoghi comuni ricorrenti. “Oltre il danno, la beffa”, per usare un’altra frase fatta. Ecco le più comuni.

“La scuola non è un parcheggio”

Questo è un evergreen, tornato prepotentemente di moda ora che, all’inizio del secondo anno di pandemia, i genitori hanno l’ardire di chiedere che le scuole restino aperte. Né più né meno di un parrucchiere o un centro massaggio.

Di solito questa frase la pronuncia proprio chi pensa che la scuola sia un parcheggio, solo che vorrebbe un parking più severo, più costoso, più elitario. Esattamente il contrario di chi della scuola coglie il compito educativo e, per questo, la ritiene essenziale. I parcheggi non sono essenziali, la scuola sì.

Questa cultura del “parcheggio” viene da un lato dalla totale svalutazione della scuola, dall’altro lato dalla sovra valutazione della famiglia, come organismo capace di fare fronte da sola a tutte le esigenze di un bambino. Se alla scuola non si dà valore, se la riuscita scolastica ha poca o nulla correlazione con il successo lavorativo, se non si è persuasi che dalla scuola dipenda la civiltà e la competitività di un Paese, se gli insegnanti non godono più di alcun prestigio, se la scuola non fa più da “ascensore sociale”, allora della scuola rimangono solo i compiti di accudimento. E un parcheggio si può chiudere senza troppo rumore dalla sera alla mattina, proprio come è successo con le scuole.

Nessun genitore lascia volentieri suo figlio in un parcheggio. Come ha detto l’ottimo Piero Angela: “L’insegnante è la persona alla quale lo Stato affida la sua cosa più preziosa: la collettività dei cervelli, perché diventino il paese di domani”. Le cose più preziose non si abbandonano in un parcheggio.

“Perché fate figli se non volete stare con loro”

Ci sono molte risposte a questa domanda, quella più breve è che noi con i nostri figli ci staremmo più che volentieri, solo che tocca lavorare, visto che nemmeno le mamme sono creature eteree che campano d’aria.

Allora, forse, la vera questione sottointesa da molti è: “Perché fate figli se non potete permetterveli?”. Domanda corretta, che prende atto di come, ormai, pur lavorando a tempo pieno in due, sia economicamente e finanziariamente irresponsabile mettere al mondo dei bambini. Se la scuola chiude dalla sera alla mattina, e non puoi pagare una tata a tempo pieno, cosa fai? Ti licenzi. Idem se hai avuto l’ardire di fare un figlio senza avere nonni a piena disposizione. Ed è proprio quello che sta succedendo in pandemia, come testimoniano i dati dell’occupazione femminile.

Ma torniamo al primo punto. Un’altra risposta possibile è che quando si diventa genitori lo si è al cento per cento del tempo, sempre, anche quando non si sta fisicamente con il proprio bambino. E che non è obbligatorio, né consigliabile, rimanere 24 ore su 24 a meno di due metri dalla propria creatura per essere un genitore discreto, o quantomeno passabile. È persino possibile mettere al mondo un bambino e non farne l’unico motivo di interesse della vita. Incredibile.

“Mica devono andare in guerra”

Alla fine si tratta solo di stare a casa sul divano, con la fortuna di non fare niente a scuola (sottointeso: questa Dad è perfetta per ragazzini e insegnanti scansafatiche) e stare attaccati al telefono e con i giochini elettronici. Di cosa si lamentano? Non come i loro coetanei che dovevano andare in guerra.

Questa è davvero subdola. Idiota, ma subdola. Dopo tutto, a chi non è mai piaciuto rimanere a casa da scuola? A tutti. Ma si trattava di un giorno, non di anni. Come ci ha raccontato Alessandra Beria, tra i giovanissimi stanno aumentando i disturbi di ansia e quelli alimentari, oltre agli episodi depressivi. I tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%, ha denunciato il responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Se è giusto parlare, anche per gli adulti, di psicopandemia (come abbiamo fatto qua) è doveroso ricordare che gli effetti sono tanto peggiori nei giovanissimi, per i quali lo spazio esterno, al di là della famiglia di appartenenza, è indispensabile. Alcuni bisogni, come la socializzazione con i coetanei, possono essere compressi per un po’ di tempo, ma non annullati per un periodo prolungato e indefinito senza conseguenze.

In guerra, visto che alcuni amano la metafora bellica, non ci sono solo caduti e mutilati, ma anche chi impazzisce per lo stress post traumatico.

“Perché fate figli se non volete educarli / Ai miei tempi”

Surreale il dibattito su chi sia più restio a rispettare le regole del distanziamento sociale e delle mascherine da indossare. C’è sempre qualcuno che ha visto per strada gruppi di ragazzi senza protezioni (la cosiddetta movida) ma anche chi asserisce che sono gli anziani i più indisciplinati, che vanno sempre in giro. Valore statistico di tali affermazioni: zero.

L’unica cosa che mi sento di dire al proposito è che, in genere, i bambini sono più “educabili” degli adulti. Alunni di 6 anni sono rimasti diligentemente seduti al banco con la loro mascherina per intere mattinate, perché la maestra, la mamma e il papà hanno detto loro di farlo. Cosa che nessuno “ai nostri tempi” ha mai dovuto affrontare.

“Il mondo non ruota attorno ai vostri figli”

Ecco, questa è l’unica frase fatta che corrisponda appieno alla realtà. Il fraintendimento consiste nel pensare che noi genitori non ce ne siamo accorti. Secondo le ultime statistiche Istat (gennaio 2019) gli over 65enni sono 13,8 milioni, cioè il 22,8% della popolazione totale, mentre i giovani fino a 14 anni sono circa 8 milioni, solo il 13,2 per cento, e oltretutto non votano.

I giovani “futuro del Paese” vanno bene per qualche proclama retorico all’occorrenza, ma sappiamo benissimo che si tratta di parole morte. Lo si evince dagli investimenti nei servizi per l’infanzia e per la famiglia, dalla leggerezza con cui si fa debito pubblico, e lo si è visto con ancora più chiarezza durante questa seconda fase di pandemia. Altrimenti non si capirebbe perché, quando si è ventilata l’ipotesi di un lockdown per fasce d’età, si è gridato all’apartheid degli anziani, mentre le scuole e le aree gioco nei parchi sono state chiuse senza che nessuno si scandalizzasse per una discriminazione nei confronti dei più giovani.

Anche in pandemia, le priorità che ci siamo dati come società sono piuttosto chiare: se mia nonna (ho la fortuna di averla ancora) vuole andare a farsi fare la messa in piega dalla parrucchiera può farlo, ma a mio figlio non è consentito salire su un’altalena.

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