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Bitto, il formaggio storico e “ribelle” prodotto dai giovani

Articolo. Ne abbiamo incontrati tre in zona Passo San Marco. Un lavoro faticoso che è anche una scelta esistenziale profondamente diversa dalle vite cittadine

Lettura 4 min.

Nell’immaginario comune quando si pensa all’alpeggio e alle sue caratteristiche si rievocano quasi sempre scene di natura idilliaca, abitata da personaggi grezzi e quasi antichi. Certo è che la vita in alta montagna non è proprio ricca di comodità, soprattutto se si deve vivere in costante interazione con i pendii. Ma c’è chi ama questo tipo di esistenza, e dunque ama la montagna, arrivando a viverci quasi in simbiosi. È il caso dei giovani alpeggiatori che caricano (sì, si dice così) le alpi attorno al passo San Marco, tra la provincia di Bergamo e la vicina Valtellina.

Come dicevo, si tratta di produttori giovani, le cui famiglie hanno sempre vissuto di allevamento e di agricoltura, che si trovano tra le mani autentici tesori caseari: il Bitto Storico e la mascherpa. Il Bitto Storico è un marchio che riunisce alcuni produttori che hanno scelto di non aderire al Consorzio di tutela. La motivazione che sta alla base è la non valorizzazione del prodotto d’alpeggio rispetto a quello industriale o di caseificio. Grazie al loro impegno, le forme di Bitto Storico hanno raggiunto quotazioni a tratti poco immaginabili per un formaggio, arrivando anche a stagionatura con un valore di centinaia di euro al chilo.

L’alpeggio e il suo ecosistema

Nella zona del Passo San Marco è uso caricare l’alpeggio verso la seconda metà del mese di giugno in relazione alla presenza di neve e alle condizioni del pascolo. Man mano che la stagione prosegue, gli alpeggiatori salgono di quota con gli animali e, qualora le condizioni di trasporto del latte siano difficoltose, anche la lavorazione del latte avviene a quote più elevate. Nello specifico il latte viene lavorato in altre baite oppure nei calecc, piccole costruzioni formate da muretti a secco, senza tetto, ma coperti da un telo che via via viene spostato con la caldaia da un calecc all’altro. Questi sono luoghi in cui si trasforma il latte, si mangia, si dorme e ci si lava. Non proprio una villa da 200 metri quadri, ecco.

Non prende il wi-fi, non ci sono telefoni e nemmeno orologi. Ma il tempo scorre comunque, spesso con altri ritmi. Le giornate sono scandite dalla ripetizione di gesti semplici e sempre uguali. Le facce sono serene e sorridenti, solo come volti di persone umili e semplici possono essere.

Il Bitto Storico: una vera chicca casearia

La produzione del Bitto Storico è tipica degli alpeggi tra la Val Gerola e il passo San Marco, in alta Valle Brembana. È un formaggio (grasso) a pasta semi-cotta prodotto a partire da latte vaccino crudo e intero. Prima di essere messo in vendita viene stagionato minimo settanta giorni. Uno degli obblighi consiste nell’aggiungere al latte vaccino almeno un 10% di latte di capra.

Il Bitto Storico, grazie alle sue caratteristiche di produzione e alla qualità del suo latte, può raggiungere stagionature molto lunghe nel tempo. Per quanto detto fino ad ora è anche presidio Slow Food e la sua promozione è curata da Paolo Ciapparelli, fondatore del “Tempio del Bitto” a Gerola Alta, dove è possibile acquistare il formaggio oppure semplicemente assaggiarlo, accompagnato da ottimi vini valtellinesi.

A Spasso con gli alpeggiatori

Rispetto a quello che si potrebbe pensare, sono molti i giovani che hanno deciso di continuare con l’attività dell’alpeggio. Non è semplice contattarli, bisogna quindi armarsi di scarponcini e buona volontà e mettersi in cammino. Il più facile da raggiungere è l’Alpeggio Ancogno Soliva. Ci si arriva in auto, ma i suoi formaggi sono acquistabili in una baita poco prima di arrivare al passo San Marco dalla parte bergamasca.

Ad accogliere i visitatori un omone con barba, schivo al primo contatto, ma che subito si lascia andare a piccoli e misurati sorrisi sotto i suoi baffi. È Carlo Duca, classe 1981, alpeggiatore dalla nascita. L’azienda conta quaranta bovini e ventuno capre e ha sede a Talamona (So) in Valtellina. Carlo e i suoi collaboratori stanno in alpeggio da metà giugno a metà settembre per la produzione del Bitto Storico: è membro infatti dell’associazione che tutela il formaggio Bitto prodotto in alpeggio. Le lavorazioni del latte attuate nel corso della giornata sono due, a seguito di ogni mungitura. Dopo la produzione del formaggio, la mattina il siero viene riscaldato e acidificato per la tradizionale produzione della mascherpa, nome che la ricotta assume in questi luoghi.

Per i medio allenati, c’è invece l’Alpe Parissolo, caricata da Lino Fognini che insieme alla sua famiglia pratica un alpeggio “nomade”. Ciò prevede non solo lo spostamento degli animali, ma anche degli alpeggiatori stessi di baita in baita. Lino e la sua mandria arrivano fino a quasi 2000 metri e nel corso della stagione compiono più spostamenti. Le baite “alte” sono poco più che dei calecc, in cui si mangia, si dorme e si lavora anche il latte. Piccole stanze all’aperto in cui il fumo del fuoco fa da padrone.

“Tutti qui hanno cominciato a venire in alpeggio all’età giusta” – spiega Rocco Fognini, zio di Lino. Ma quale è l’età giusta per iniziare l’alpeggio? “Sette anni!” dice ancora Rocco spontaneamente e il ritrovarsi in questi contesti così da piccoli è un qualcosa che riguarda le tradizioni e le proprie radici.

Quella di Lino, classe 1985, è una scelta importante: tanta è la fatica nell’operare in alpeggio, ma questa attività e la produzione del Bitto Storico permettono alla sua famiglia di sopravvivere anche durante la stagione invernale, durante la quale il latte viene dato a una latteria nella zona di Morbegno (So).

Per gli amanti invece delle escursioni in montagna, una visita ad Alfio Sassella (Azienda Agricola Sonia Marioli) che carica l’Alpe Cavizzola è quello che ci vuole. Dal rifugio Madonna delle Nevi di Mezzoldo parte il sentiero delle casere (segnavia CAI n. 111, poi si dirama nel n. 101), che idealmente è il tragitto seguito da Alfio Sassella e dalla sua mandria.

È possibile trovare il formaggio prodotto in alpeggio al vicino ristorante Genzianella, dove si viene accolti da Sonia, moglie di Alfio e titolare dell’azienda stessa, che può anche fornire importanti indicazione sulla precisa posizione di Alfio, anche lui è un alpeggiatore “nomade” che nel periodo estivo arriva a superare i 2000 metri in cinque tappe. Nel mese di agosto raggiunge quelle più alte per poi ripercorrerle scendendo verso Mezzoldo. Alfio è perito meccanico e prima di dedicarsi ai formaggi faceva un altro lavoro. Il “colpo di fulmine” è avvenuto a ventiquattro anni, quando ha caricato il primo alpeggio con il papà di Sonia ed è stato sedotto da questo tipo di vita.

Caricare l’alpeggio per questi ragazzi non è una “professione” come intendiamo comunemente, ma un vero e proprio stile di vita. Quelli che vi ho raccontato sono solo tre dei tanti alpeggiatori che si dedicano a questa attività. Se li andate a trovare, ricordatevi di portare un sacco con del pane fresco (meglio e pagnotte, che si conservano per alcuni giorni), ve ne saranno molto grati.