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“Veramente pensavo di non tornare mai più”: Vatanen e la conquista della libertà ne “L’anno della lepre”

Articolo. Il libro più famoso di Arto Paasilinna protagonista dell’appuntamento di venerdì 20 settembre a Palosco per Fiato ai Libri

Lettura 4 min.
Arto Paasilinna (Foto AFP)

Chiunque ha pensato almeno una volta nella vita di mollare tutto. Gli affetti, gli amici, il lavoro: lasciare ogni cosa e ricominciare, seguendo un istinto di libertà il più possibile coincidente con i propri desideri. È un sentire comune, che arriva magari in un momento di scoramento o quando ci si rende conto che la nostra vita non è quella che vorremmo e stiamo buttando alle ortiche un’esistenza in potenza migliore, più soddisfacente e più umana.

“La fuga nella vita, chi lo sa / che non sia proprio lei / la quinta essenza” canta Paolo Conte in “Fuga all’inglese”, frase dubitativa con un retrogusto di verità a cui Arto Paasilinna sembra rispondere con la sua fuga alla finlandese: quella del giornalista Kaarlo Vatanen ne “L’anno della lepre”. Libro cult dell’autore di Kittilä uscito nel nostro Paese nel 1994 grazie ai tipi di Iperborea – e capace di aprire un varco sulla letteratura scandinava grazie alle oltre centodieci mila copie vendute nelle librerie italiane.

Proprio partendo da questo titolo il festival di teatrolettura Fiato ai Libri omaggerà l’estro di Paasilinna – morto nel 2018 – venerdì 20 settembre a Palosco, con le voci narranti di Paolo Li Volsi e Jacopo Maria Bicocchi (piazza Pertini, adiacente alla Biblioteca Comunale, ingresso libero fino ad esaurimento posti). Abbiamo dunque contattato quest’ultimo per fare due chiacchiere su un libro sì ironico e leggero, ma capace di infilare la penna nei nodi esistenziali delle vite di tutti. Parlando direttamente alla coscienza e lasciando alla fine una domanda tutt’altro che scontata: facciamo davvero le vite che vogliamo?

“L’anno della lepre” è infatti un libro sulla libertà. Una sorta di lieve operetta morale che episodio dopo episodio sviluppa un discorso libertario sul nostro rapporto con il mondo. Il principio narrativo è l’incontro con un cucciolo di lepre. Avviene in un bosco dalle parti di Heinola, mentre Vatanen è in macchina con un collega che travolge l’animale, fortunatamente senza gravi conseguenze.

La scelta da parte di Vatanen di prendersi cura del leprotto è l’inizio del suo radicale cambiamento di vita. Una rivoluzione in cui l’uomo lascia una moglie con cui non ha più nulla da condividere, un lavoro giornalistico annacquato (Paasilinna è stato un giornalista e qui punzecchia la sua ex professione) e soprattutto una grigia quotidianità borghese che lentamente lo uccide.

Inizia così un viaggio fra il sud e il nord della Finlandia, durante il quale il nostro incontrerà personaggi che hanno fatto una scelta simile alla sua (come il semi-eremita Hannikainen, convinto che lo storico presidente della Repubblica finlandese Urho Kekkonen sia morto nel 1968 per poi essere sostituito da un interprete più giovane) e altre figure quali il senza tetto Kurko, l’animista Kaartinen e l’avvocatessa Heikkinen, di cui si innamora.
Ogni persona che incrocerà il suo stravagante cammino sarà per Vatanen una possibilità di recuperare quel tanto di umanità necessaria a trascorrere una vita felice in mezzo alla natura.
Ovviamente insieme al proprio amico-animale. Feticcio tutt’altro che inanimato forse scelto volutamente, se è vero che in molte culture tradizionali la lepre è un simbolo di rinascita.

“L’anno della lepre – ci racconta Jacopo Bicocchi – mi ha colpito soprattutto per come riesce a coniugare leggerezza e profondità. È un libro che inizia con una certa ironia e piano piano evolve insieme alle avventure di Vatanen, sino ad un finale quasi epico che mi ha ricordato ‘Zanna bianca‘. Altro titolo dove predomina un forte senso di libertà come inevitabile condizione esistenziale. Inevitabile quindi riflettere sull’attualità di un libro uscito da noi negli anni Novanta ma pubblicato originariamente nel 1975: “La presenza così forte della natura dà al libro una sensibilità prettamente ambientalista tutt’altro che ideologica, visto quanto accade nel finale all’orso, quasi coprotagonista dell’ultima parte del racconto. Vatanen vive e rispetta la natura, ed è il primo passo per rispettare sé stesso e le sue aspirazioni. Da lì in poi ogni azione di quest’uomo è un invito a togliere la maschera che spesso indossiamo nel nostro quotidiano, a liberarci da certe imposizioni della società a cui non ci siamo mai opposti. In fondo ‘L’anno della lepre” ci dice di andare incontro alla vita esclusivamente secondo il nostro istinto, quello che sentiamo e che ci fa stare veramente bene”.

Tuttavia “L’anno della lepre” è anche un libro sulla cosiddetta età di mezzo, quel periodo che va dai trenta ai quarant’anni (Vatanen dovrebbe avere quell’età o poco più) dove spesso il proprio sé reclama attenzione: “Non è facile risvegliarsi a quel punto della vita, quando tutto è spesso consolidato e sembra immutabile. Il gesto di Vatanen in fondo è una provocazione a cui dare una risposta, che non è necessariamente diventare eremiti ma trovare quello spazio di silenzio e contemplazione che permette di ascoltarci. Un qualcosa di cui oggi abbiamo di sicuro bisogno”.

Fiato ai libri prevede che ogni volume letto venga “rimontato” scegliendo alcuni stralci significativi da leggere al pubblico. Anche “L’anno della lepre” è stato sottoposto a questo procedimento “per nulla semplice. Inizialmente sembrava un gioco da ragazzi, ma poi ogni singolo episodio con i relativi personaggi ci ‘chiamava’. Quindi abbiamo fissato l’inizio e la fine del libro come cornice entro cui scegliere le storie più significative, quelle in grado di dire in modo immediato quale è l’essenza del libro e in che modo Vatanen evolve. Ne è venuto fuori una specie di bignami delle sue avventure, dove siamo riusciti a mantenere intatti l’ironia e l’incanto”.

Ironia e incanto che hanno un corrispettivo cinematografico: “Mi è venuto in mente Wes Anderson e il suo modo di girare che ha sempre qualcosa di ironico. Sembra in apparenza una modalità superficiale di raccontare ma in realtà c’è un punto di vista che dipende anche da come la storia. Anderson è un regista che cerca di narrare con uno sguardo un po’ diverso, spesso rilassante, senza puntare il dito”.

Un relax che incorpora un’intenzione quasi filosofica: “Paasilinna come Anderson ci invitano, fra le altre cose, a deporre le difese e lasciare che le storie facciano il loro lavoro. Entrambi sono opere che magari lì per lì dicono poco. Passato un po’ di tempo però riemergono e ci si ritrova a pensarle, accorgendoci che parlano di noi”.

In fondo è questa uno degli aspetti fondamentali della grande letteratura e del grande cinema, cioè “la possibilità di parlare di cose che sono essenziali e che continueranno finché ci sarà il mondo a tremare in noi”. A tremare nei momenti difficili come la lepre di cui Vatanen ha cura. Ed è quella cura autentica, ci ricorda Heidegger, che aiuta l’uomo ad essere libero di realizzare sé stesso. In fondo quella di Vatanen è una fuga dalla mediocrità costi quel che costi. “Torna a casa subito” gli dice al telefono ad un certo punto la moglie. “Veramente pensavo di non tornare mai più” le risponde lui come un moderno Bartleby che attua il suo piccolo grande No per ricominciare a vivere davvero.

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