93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

5 libri belli da regalare a Natale

Articolo. La storia dell’altro Bugatti (non quello delle macchine), una raccolta di scritti dal carcere di Frosinone, una storia di famiglia opera di una scrittrice italiana quasi dimenticata, la bomba e la memoria di Piazza Fontana. E un volume che racconta Bergamo in breve. Cinque titoli per delle idee regalo, o anche solo per orientarsi dentro nuovi territori di lettura (e di riflessione)

Lettura 6 min.

Eccoci, puntuali. Tornano i listini di fine anno, grande tradizione delle testate online di approfondimento culturale. Per non essere da meno, abbiamo pensato a 5 titoli che siano soprattutto in grado di lanciare il lettore oltre le pagine. Si scrive libri ma si legge tematiche: ne consigliamo alcune per Natale (buonissime anche per il resto dell’anno). Con un consiglio finale e defaticante sulla storia di Bergamo.

«Questa vita tuttavia mi pesa molto» di Edgardo Franzosini (Adelphi, 2015)

La narrativa biografica tra documentazione e immaginazione è il marchio di fabbrica di Edgardo Franzosini, autore di questo piccolo gioiello (117 pp.) in veste adelphiana, vincitore del premio Comisso e del premio Dessì 2016. Romanzo breve o racconto lungo che dir si voglia, ha per protagonista lo scultore Rembrandt Bugatti (1884 – 1916) fratello del più celebre costruttore di automobili Ettore, e che fu in attività tra Milano, Parigi e Anversa nei primi del Novecento – suo è l’elefante danzante, icona sul cofano della Bugatti Royale.

È soprattutto dentro Parigi e Anversa che Franzosini traccia il ritratto delicato di un’ossessione, del tutto innocente ma tragicamente delicata: per gli animali, per le linee esotiche e il movimento di certe bestie che a Rembrandt piace guardare «vivere, muoversi, mangiare, soffrire» – e poi scolpire – trascorrendo intere giornate allo zoo di Anversa o al Jardin des Plantes di Parigi, mentre la guerra scava trincee e fa rombare i cieli. Le bombe non risparmiano Anversa, mietono vittime ancora prima di cadere: le autorità ordinano la soppressione di tutti gli esemplari dello zoo, ed è un evento che esaspera il tormento del giovane artista, la sua sensibilità fragile, così incompatibile con il nichilismo da tempo dei lupi in cui si trova a vivere. E a morire, per scelta: «questa vita tuttavia mi pesa molto», scrive al fratello Ettore.

Rembrandt si toglierà la vita l’8 gennaio 1916, nella sua stanza al 3 rue Joseph-Bara di Parigi. La morte di un artista così fuori dagli stereotipi, il suo sguardo incantato sul mondo e sulle sue creature più inermi, la capacità di riconoscere la precarietà della bellezza, la sua fragilità, e di condividerla: in qualche modo, la storia di Rembrandt Bugatti, per come è raccontata da Franzosini, può farsi metafora di una condizione umana universale. O meglio: di ciò che dello spirito umano andrebbe preservato, protetto, tramandato, nell’eterno ritorno del tempo dei lupi.

«Letteratura d’evasione. Scritti dei detenuti del carcere di Frosinone» a cura di Ivan Talarico e Federica Graziani (Il Saggiatore, 2022)

«Marcire in galera». Un’espressione che piace a certi leader politici (ahinoi, anche a parte dell’opinione pubblica) che intende il carcere in una declinazione che non ha nulla a che fare con la Costituzione, figuriamoci con la morale: la giustizia è punizione per una colpa irredimibile a priori, come se la purga di una vita intera dietro le sbarre avesse mai dimostrato utilità sociale, di servire a qualcuno o a qualcosa che non fosse la vendetta. I criminali “lombrosiani” non esistono, esistono le persone che hanno commesso crimini e quelle che possono commetterne: e questi siamo noi, nessuno escluso.

E per «marcire in galera» non serve affatto restarci ogni singolo giorno che rimane da vivere. Basta molto meno: l’ultimo rapporto sui suicidi del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute lo evidenzia con chiarezza. Dal 2012 i suicidi in carcere sono stati 583, la metà dei quali di detenuti in attesa di sentenza definitiva. 80 solo nel 2022 (l’ultimo due giorni fa, a Poggioreale: Francesco, 30 anni). Il rapporto evidenzia che non è il periodo di detenzione a scatenare l’istinto suicida, ma lo stigma di essere entrati in carcere, l’idea che per la società sei un rifiuto il cui luogo d’elezione è il bidone dell’immondizia. Il 62% dei suicidi avviene nei primi 6 mesi di detenzione: il tempo che serve per marcire.

Questo libro prova ad aprire una breccia da cui passi un po’ di luce, risultato di un laboratorio di scrittura tenuto da Ivan Talarico, curatore del volume, nel carcere di Frosinone durante il 2020. Un’iniziativa nell’ambito del progetto «Fiorire nel pensiero» curato da Federica Graziani dell’associazione A buon diritto. Provate a leggerne gli scritti, ad aprirvi a quelle sensibilità senza conoscere le colpe di cui si sono macchiati e per cui stanno pagando: riconoscerete degli esseri umani. E dove c’è un essere umano c’è sempre un bene potenziale, che non dovrebbe andare sprecato ma recuperato.

«Il confinato» di Maria Jatosti (Stampa Alternativa, 2013)

Il 2022 è stato l’anno del centenario di alcuni tra i più influenti scrittori del Novecento italiano. Beppe Fenoglio, Pierpaolo Pasolini, Luigi Meneghello, Giorgio Manganelli. Ce n’è un altro, altrettanto importante, che è passato sottotraccia, forse anche perché non è mai stato così popolare tra il grande pubblico. Si tratta di Luciano Bianciardi, autore arrivato al successo con il romanzo «La vita agra», (anti)intellettuale sui generis, accanito bevitore: vizio, l’alcolismo, che gli costò la vita a 49 anni.

Maria Jatosti è stata «la sua amante» per lungo tempo, e il suo nome, come spesso accade, è spesso comparso come appendice a quello scrittore grossetano: «la Maria del Bianciardi». Eppure Jatosti vanta un’attività letteraria notevole, un percorso intellettuale e di vita che dimostra come a una donna serva (almeno) il doppio della fatica – e delle fortuna – per ottenere il riconoscimento riservato agli uomini. E spesso nemmeno è sufficiente. Retorica zero: il canone letterario italiano parla chiaro in questo senso. Jatosti ha vissuto a Milano con Bianciardi, insieme hanno avuto un figlio. È diventata il personaggio di Anna, l’amante del protagonista ne «La vita agra», da cui è stato tratto un film di Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli.

Maria Jatosti nasce e cresce a Roma, alla Garbatella, milita nel PCI («la pasionaria della Garbatella» la chiamavano) e diventa la segretaria di Giuseppe Di Vittorio. Per vivere scrive romanzi rosa, poi pornografici, un’attività che la porta a diventare la prima caporedattrice donna di una rivista erotica, «Le Ore (della settimana)». Nel corso della sua vita produce romanzi, raccolte di poesie, drammaturgie, cura antologie, spettacoli teatrali, traduzioni. Sempre coniugando cultura e impegno civile. «Il confinato» è il suo primo libro, pubblicato nel 1961, finalista del premio Viareggio, ripubblicato da Stampa Alternativa nel 2013: è la storia della sua famiglia tra gli anni Trenta e i Cinquanta, romanzo di formazione (antifascista) a cronaca familiare che include un periodo di confino in Calabria. Una storia di famiglia nel solco del romanzo neorealista del Dopoguerra. Una porta d’accesso al mondo di una delle tante grandi scrittrici lasciate a far polvere nella soffitta della letteratura italiana.

«La bomba» di Enrico Deaglio (Feltrinelli, 2019)

Di questo libro ne avevamo già consigliato la lettura nel marzo del 2020, tra altri quattro titoli recenti da recuperare durante il lockdown. Perché riproporlo? Il 12 dicembre è stato l’anniversario della strage di piazza Fontana , del 1969. I responsabili, per quanto se ne sa, arrivano da Ordine Nuovo, organizzazione terroristica neofascista ed eversiva, tra i bracci armati (sempre “neri”) della cosiddetta Strategia della tensione. Il fondatore del gruppo fu tale Pino Rauti, da sempre ritenuto il mandante morale (e perno organizzativo) di più d’una strage. La figlia, Isabella Rauti, che mai ha rinnegato le ombre paterne (tutt’altro) oggi è senatrice neoeletta in forza a Fratelli d’Italia (ha vinto a Sesto su Emanuele Fiano, figlio del deportato Nedo: questi sono i tempi) ed è stata nominata sottosegretaria di Stato alla Difesa.

Pino Rauti fu membro fondatore e segretario del Movimento Sociale Italiano, partito dichiaratamente neofascista. Insieme a Giorgio Almirante, che fece rientrare nei ranghi dell’MSI i militanti di Ordine Nuovo, è tra i riferimenti politico-ideologici di Fratelli d’Italia, che a Rauti e ad Almirante dedica e intitola circoli e sedi qua e là per l’Italia (l’ultimo a Brescia). Lo scorso 12 dicembre nessun membro dell’attuale governo ha sentito la necessità, anche solo istituzionale, di spendere una parola sulla strage di Piazza Fontana, tantomeno di partecipare alla commemorazione. Non è certo una novità la tendenza dell’estrema destra italiana, erede di quella tradizione, a una specie di revanscismo verso l’antifascismo che è il fondamento della nostra cultura democratica e repubblicana. Eppure, al contempo occupano gli scranni più alti delle istituzioni.

Sui media, per piazza Fontana, la stessa sorte: silenzio o minimo spazio, soprattutto per richiamare l’attenzione – e qui c’è del tragicomico – su una «contestazione degli anarchici». Oggi come ieri, lo Stato rinuncia a fare i conti definitivi con quella storia, con le sue responsabilità. E c’è di peggio: c’è chi lavora per logorarne la memoria, per intorbidirla. Un libro come quello di Deaglio – che raccoglie tutto quello che sappiamo sulla Strage del 12 dicembre 1969, le trame nere, i depistaggi, l’omicidio Pinelli e via dicendo – è puro ossigeno in un presente decisamente asfittico. Ed ecco perché torniamo a consigliarne la lettura.

«Breve storia di Bergamo», di Giulia Greco e Rossella Monaco (Newton Compton Editori, 2022)

«Dalle invasioni galliche alle signorie, dai Promessi Sposi all’Atalanta: tutta la storia della città dei Mille in un solo libro» è il sottotitolo del volume che si inserisce dentro una lunga tradizione letteraria sul territorio bergamasco, la sua gente, gli eventi e le curiosità che ne hanno caratterizzato il divenire. C’è un assaggio – quanto basta – di tutto ciò che conta raccontare su questo argomento, ciò che rende questo libro perfetto (non solo) per gli appassionati di storia locale, che poi solo locale non è.

La struttura cronologica permette una consultazione libera, senza una direzione obbligata: si sale e si scende dalla scala del tempo in qualsiasi momento, al livello che più interessa, dalla preistoria ai giorni dell’esplosione del Covid. Un lavoro che è orientato a una divulgazione generalista in un formato agile e facilmente consultabile (e trasportabile, dettaglio non di poco conto, visti i tomi di storia locale che giacciono di solito nelle librerie nostrane). Lo stile avrebbe potuto concedersi, perché no, un piglio più narrativo, fresco. Ciò non toglie valore al volume, più unico che raro per la capacità di razionalizzare una mole di materiale davvero importante.

Approfondimenti