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5 libri di autori bergamaschi da leggere sotto l’ombrellone (o dove trascorrerete le vostre vacanze)

Guida. Max Dahl, Telmo Pievani, Alan Poloni, Maria Stella Carrara e Andreina Franco-Loiri Locatelli. Una cinquina di opere “bergamasche” diverse dai soliti titoli suggeriti dai giornali

Lettura 6 min.
(foto Garo Manjikian)

Estate tempo di lettura. Almeno per un Paese che in media legge poco, anche se l’Aie (Associazione italiana editori) segnala un aumento delle vendite del 26,6 % nei primi tre mesi di quest’anno. Un dato confortante se calcoliamo che la bella stagione con il suo frequente rompete le righe lavorativo è il momento della lettura per antonomasia (c’è più tempo e la mente è più libera). Eccovi dunque 5 bei titoli diversi tra loro di autori bergamaschi da leggere ad agosto o nei prossimi mesi.

“Estasi” – Max Dahl (PSEditore)

Max Dahl è Massimo Daleffe, autore di Eppen che per molti mesi ha raccontato gli anni ’80 sul nostro territorio. Qui si cimenta con il suo terzo romanzo – dopo “Beau Rivage” (2018) e “L’Arca” (2019) – ambientato nella Monaco del settembre 1943, con la Germania pesantemente bombardata e presa fra russi e alleati. L’atmosfera è quella di un tempo prima della catastrofe, visto attraverso gli occhi e il diario di Leni Schrattenbach, figliastra ambigua, sensuale e amorale di un tenente colonnello delle SS (nacque dal matrimonio della madre con il barone Brunswick-Luneburg).

L’omicidio di uno dei protagonisti fa emergere tutto il torbido che animava l’alta borghesia tedesca di quel periodo, nonostante i capi di sterminio e milioni di morti al fronte, e la crudeltà del regime germanico. A svolgere la matassa sarà la testimonianza di Hofer – il maggiordomo di casa che poi fuggirà in Svizzera – e la lettura del diario della ragazza.

“Estasi” è un’immersione in uno dei momenti più bui della storia tedesca ed europea; Dahl narra in modo abbastanza lineare ma con la capacità di tenere il lettore attaccato alla pagina e di immedesimarlo nella situazione, per poi indurlo a ritenersi fortunato di non essere nato in quei luoghi e in quel periodo. In qualche modo si sentono i richiami – a debita distanza – della “Lolita” di Nabokov e de “Il nastro bianco” di Haneke. Ma le citazioni che aprono ogni capitolo indicano riferimenti letterari ben diversi. Ossessione, smania di ottenere i propri obiettivi, furbizia e un epilogo inevitabilmente tragico fanno di “Estasi” un buonissimo romanzo, che racconta al meglio la furia e il nichilismo del popolo tedesco durante il secondo conflitto mondiale. (Luca Barachetti)

“Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà” – Telmo Pievani

Di “Finitudine”, l’esordio in qualità di narratore del filoso della scienza Telmo Pievani, abbiamo già parlato nelle scorse settimane. Tra romanzo, saggio filosofico e if story (Albert Camus non è morto in un incidente ma si trova in ospedale, ricevendo la visita dell’amico genetista Jacques Monod) il libro cerca di rispondere alla domanda su come trovare un senso all’esistenza accettando la nostra finitezza. I due passano in rassegna le possibilità laiche di sfidare la morte. (Luca Roncoroni)

“L’uomo che rovinava i sabati” – Alan Poloni (Miraggi Edizioni)

Jack Ebasta, Malcom Chiarugi e Palmiro detto il Palma (o Miro). Sono loro i tre protagonisti de “L’uomo che rovinava i sabati”, opera seconda (la prima “Dio se la caverà” è uscita nel 2014) di Alan Poloni, bergamasco di nascita, ex insegnante, oggi titolare della storica libreria Muratori di Capriolo.

I tre protagonisti, amici di lunga data, vivono un’esistenza alquanto scompagnata in una immaginaria Val Crodino, enclave della Val Camonica i cui abitanti hanno conservato una originale vena anarcoide e sono tanto rudi e scontrosi quanto insolitamente attratti da musica, poesia e arte. Difatti il primo, Jack, è un poeta talentuoso che sta faticosamente cercando di uscire da un passato recente da alcolista molesto. Chiarugi è un musicista folk di discreto successo, donnaiolo al punto da avere ben 12 “fidanzate” all’attivo contemporaneamente e il Palma un burbero liutaio talmente innamorato delle sue creazioni da arrivare non solo a dar loro un nome ma addirittura a rifiutarsi di venderle.

Su queste premesse, già di per sé molto invitanti, Alan Poloni innesta una narrazione davvero godibilissima fatta di colpi di scena, personaggi folli e stravaganti (come Cecchini, il figlio del farmacista del paese, che non si perde un funerale e mentre canta in chiesa circondato dalle vecchiette vive esaltanti esperienze di trasmigrazione corporea) e un persistente senso di disagio che percorre le esistenze dei protagonisti. Ma da questo disagio i nostri sembrano fuggire grazie al consumo di una sostanza psicotropa estratta da un fungo allucinogeno che, leggenda vuole, cresce nei boschi della valle fin dai tempi dei Camuni i quali, questa è la teoria del Palma, ne facevano uso fin dall’alba dei tempi. Proprio il viaggio che i tre intraprendono alla ricerca di un misterioso etnologo in grado di confermare questa teoria porterà il trio a trovare un bandolo nella matassa delle loro vite e, a dispetto delle premesse, non in qualche esperienza psichedelica, ma nella consapevolezza di un’amicizia sodale che resiste ad ogni urto.

Un po’ Ammaniti per la caleidoscopica follia dei personaggi, un po’ l’ultimo film di Thomas Vinterberg (“Un altro giro”, vincitore di un Oscar) per l’idea di sfuggire dalla banalità schizofrenica della quotidianità attraverso una esperienza allucinatoria o estatica, “L’uomo che rovinava i sabati” è un libro divertente, ricchissimo di rimandi e citazioni, scritto con parole sempre precise e frasi che si chiudono dopo giri arditi con somma soddisfazione per il lettore. (Manuela Assolari)

“Resto con Te” – Maria Stella Carrara (Poderosa Edizioni)

“Resto con te” è il primo romanzo della giornalista Maria Stella Carrara. Un libro perfetto per l’estate, da leggere sotto l’ombrellone, nonostante a livello metaforico la stagione della vita rappresentata sia l’autunno.

Quel periodo dell’anno nel quale le foglie colorate e brune si affastellano ai lati delle strade o rinsecchiscono sulle panchine su cui ci si siede per osservare lo scorrere lento e inesorabile della vita, fa da sfondo alla storia di Lina. O almeno così sembrerebbe.

Attraverso una narrazione in prima persona scopriamo che Lina ha settant’anni e vive ormai da sola dopo la morte del marito e il trasferimento della figlia in Spagna. È proprio contro il volere di quest’ultima che decide di trasferirsi in una casa di riposo, “Gli anni d’oro”.

Lina ha come un presentimento, un presagio. Da un lato non vorrebbe mai essere un peso per nessuno e teme di morire da sola, dall’altro ha la sensazione che qualcosa debba ancora accadere proprio in questo ex convento dalle pareti color verde chiaro. Verde, una tonalità che nella semantica dei colori richiama la calma, la serenità, la pace. La tenuità di un quotidiano scandito da un rituale andare a ritroso, alla ricerca di scelte per le quali rimproverarsi o di attenuanti che il peso del tempo ha rivestito di una patina polverosa dietro alla quale si nascondono dissapori, rimpianti e dispiaceri. Verde, però, è anche la linfa che scorre ancora decisa, determinata, imperiosa, nella vita di Lina.

La soggettività della protagonista ci conduce attraverso continui salti temporali, nei luoghi di un’infanzia difficile segnata da un’acedia materna dentro alla quale Lina cercherà a tutti i costi di scavare, finendo per farla propria.

Un’eredità di famiglia certamente importante alleggerita dagli antidepressivi e dal cinismo di un’età che “dell’oro ha solo il vantaggio di poter dire quello che si pensa”.

Scopriamo, ancora, attraverso il ricordo presente e più che mai vivido, il volto di un amore giovane, puro, ingenuo e al tempo stesso ancestrale, atavico e irrinunciabile. Per tutta la vita Lina ha cercato di estirpare la radice di un desiderio rimasto incompiuto, vestendo i panni di una brava moglie e madre. Ma ora in quel luogo di finitudine sembra arrivato il momento per Lina di provare a essere se stessa, senza attenuanti. L’Amore tornerà inaspettatamente (o quasi) a bussare alla porta di Lina che si troverà nuovamente di fronte ad un bivio: cuore o ragione? (Carmen Pupo)

“Streghe. Siano vive messe al foco et brusiate” – Andreina Franco-Loi (Mimesis)

“Streghe. Siano vive messe al foco et brusiate” di Andreina Franco-Loiri Locatelli è uno di quei libri che lasciano un segno. Ambientato nella Valle Camonica del Cinquecento, periodo impareggiabile per innovazione e fermento culturale, narra di un fatto storico realmente avvenuto e documentato a Pisogne. Il 23 giugno 1518, infatti, nella piazza del paese vennero messe al rogo sette donne e un uomo. Il romanzo tratta le complesse vicende che hanno portato a questo tragico epilogo, muovendosi sugli accadimenti di due personaggi fondamentali: Fiore e Guglielmo. La prima è un’orfana sospettata di essere figlia del demonio e il secondo è un anziano medico dalla mente colta e brillante, che solo alla fine rivelerà il suo vero ruolo all’interno della comunità.

Non erano le streghe ad incutere paura! Era la paura a creare le streghe!” riflette, a un certo punto, un personaggio. Nel Cinquecento, in Valle Camonica, la caccia alle streghe è passata da essere un fenomeno sporadico a vera e propria ossessione. Le donne messe al rogo erano mamme, mogli, sorelle e figlie intelligenti, “detentrici di un sapere tramandato da una lunga catena di generazioni”. Un sapere che forse, ai più, era sconosciuto e in quanto tale incuteva paura.

Oggi non abbiamo più fortunatamente la caccia alle streghe intesa come la messa al rogo di donne accusate di legami con il diavolo. Eppure, la frase riportata sopra fa riflettere di come, in realtà, qualsiasi epoca abbia la propria personale battaglia da condurre contro il pregiudizio e la facilità di condanna verso le diversità.

Le donne che quel giorno di giugno del 1518 hanno perso la vita, le speranze e i sogni tra le fiamme della crudeltà, attraverso questo romanzo cercano di insegnarci qualcosa, anche a noi cittadini del 2021. Ci raccontano che la paura è uno dei sentimenti più forti e pericolosi che ci siano, capace di portare anche le menti più colte a compiere orrori nell’irrazionale ed inutile credenza che ciò che è diverso dalla norma sia inevitabilmente sinonimo di maligno. (Giulia Belotti)

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