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“Ahia!”: se un Pinguino scrive un romanzo su come sia facile perdersi

Recensione. Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari racconta la storia di un ingegnere trentenne che si trova a dover convincere il padre mai conosciuto ad andare al funerale della madre. Una storia particolare, che ci parla della vita e del suo straordinario potere di stupirci

Lettura 5 min.
Riccardo Zanotti

“L’intricata stradina di montagna si svelava lentamente, curva dopo curva, senza mai mostrarsi nella sua interezza. La gente del posto diceva che quella era una valle ferita ma discreta. E in effetti chiunque si fosse trovato a percorrere quella strada non avrebbe potuto fare a meno di provare senso di colpa e reverenza nei confronti del bosco di larici che la cicatrice di asfalto solcava. (…) Il suv, abituato a dominare le stradone di città, qui era soltanto una delle tante creature che girovagava tra gli alberi”.

Inizia così “Ahia!” (Mondadori) il primo romanzo di Riccardo Zanotti, che tutti conosciamo come frontman dei Pinguini Tattici Nucleari. L’autore – sebbene dichiari che l’opera è di fantasia e che qualunque riferimento a fatti, cose o persone realmente esistenti sia puramente casuale – ci trasporta in un luogo che conosciamo bene, cioè casa nostra.

Casa nostra

Quante volte, tornando a casa nella mia Serina, mi sono trovata davanti un SUV targato MI procedere alla pericolosissima velocità di 20 km/h, frenando come se dietro ogni curva si celassero burroni e pendii. E il commento naturale: “Milanese… la strada non finisce improvvisamente… vai, procedi, coraggio”.

Riccardo ci porta proprio lì, in quelle curve, in quei boschi, in quei momenti in cui rimpiangi anche la coda sulla Villa d’Almè-Dalmine pur di non aver davanti quel SUV che non sembra andare avanti mai. La sua narrazione descrittiva, ricca di particolari, ci presenta subito il protagonista. È Giovanni Cerioni, un giovane ingegnere la cui vita si divide tra le sue uniche due grandi passioni: i numeri e il suo pesce rosso, Eiffel.

Figlio di un’esuberante donna degli anni Sessanta, Milly, Giovanni vive una vita ordinaria, senza troppi colpi di scena. Fino al giorno in cui sua madre, poco prima di morire, chiede al figlio di esaudire il suo ultimo desiderio: “Chiedi a quello stronzo di venire al funerale”. E quello stronzo è suo papà.

Soterio

E così il macchinone di Giovanni si avvia tra le curve indisciplinate, alla ricerca del padre. Giunge a Soterio, paesino di poche anime spesso disperate: “Soterio era un paese in cui non si poteva mai davvero stare da soli. Ogni pianta, strada e casa raccontava una storia, si trascinava dietro un passato e covava un segreto. La noia regnava incontrastata: il paese viveva di un operoso niente, rigorosamente scandito dai rintocchi della vecchia campana. Ci vivevano mille anime inquiete ed erranti, che lì passavano il tempo in attesa di scoprire il proprio destino…”. Inquiete come quella di chi ha messo al mondo Giovanni, ovvero Fabrizio Santi, uno scontroso musicista in oblio che di tutto ha voglia fuorché di fare il padre. Santi vive in una villa che sa di antico insieme a Rachele, giovane donna di cui non si capisce bene il ruolo fino a metà romanzo, e Teie, il gatto. Parla così Santi, uomo di poca fede e scarsa speranza, con don Paolo, il prete di Soterio. Animo buono e gentile, don Paolo da buon pastore cura ogni sua pecorella, dedicandosi soprattutto a quelle che tendono ad allontanarsi dal gregge e a perdersi. E Santi, forse, questo lo sa:

Ahia!

Esatto, prete, esatto. Una sola parola pronunciata da Dio, e io sarei stato salvato. Questo pensiero mi faceva impazzire, non ci dormivo la notte. Un bambino è così suggestionabile... Vivevo nel terrore di finire all’inferno. Chissà se Dio mi avrebbe salvato”. Parla così Santi, uomo di poca fede e scarsa speranza, con don Paolo, il prete di Soterio. Animo buono e gentile, don Paolo da buon pastore cura ogni sua pecorella, dedicandosi soprattutto a quelle che tendono ad allontanarsi dal gregge e a perdersi. E Santi, forse, questo lo sa: “In fondo gli bastava una parola. Magari, il fatidico giorno in cui potrò essere salvato, Dio si alzerà con la luna storta e non avrà molta voglia di parlare... E a quel punto tac, dannato a vita. Oppure sarò salvato per una botta di culo, pensavo. Magari Dio inciamperà, cadrà a terra, si sbuccerà il ginocchio e urlerà ‘Ahia!’. E io sarò salvato. Non potrà protestare: gli farò presente che secondo il patto basta una sola parola, e lui ha detto ‘Ahia’. Tac, salvato per l’eternità”.

Che parole: per l’eternità. Come un figlio, che una volta messo al mondo è lì, tra le intricate vie della sua vita a scegliere a ogni bivio quale strada prendere, a curarsi le proprie ferite e a gioire dei successi. Giovanni giunge a Soterio per convincere il padre a partecipare al funerale della madre, ma si trova ben presto all’interno di una missione più ampia: chiudere il cerchio della sua esistenza. Lui, ingegnere inquadrato, non si è mai concepito come figlio di un papà così; Santi, dal canto suo, ha sempre osservato la sua vita da un punto di vista esterno: si conosce come stella del rock in decadenza, sicuramente non come padre. E invece arriva Giovanni, dal nulla, a ricordare a Fabrizio e ad ogni lettore che la vita è un grande puzzle: possiamo fingere che stia bene anche senza qualche pezzo, finito magari sotto qualche mobile, ma non sarà mai completo.

L’amore

“Ahia!” è un romanzo d’amore. Non di due giovani che si conoscono, si innamorano, si sposano e… vissero tutti felici e contenti. Qua nessuno vive felice e contento, neanche il gatto Teie che, oltre a trovarsi a dover convivere con un pesce rosso, una notte sfoga tutta la sua rabbia repressa sul viso del povero Giovanni. Non è d’amore neanche nel senso di seconda opportunità: nessuno ne ha una. Non l’ha Giovanni, che non pretende in alcun modo di essere amato come figlio, ma accettato come uomo; non l’ha Santi, perché non ci si improvvisa padri di figli trentenni. Non l’ha nemmeno Rachele, figlia di un padre complicato e donna tanto dolce quanto turbata. Eppure “Ahia!” parla d’amore. Lo si capisce fin da subito e si consolida pagina dopo pagina. È un amore maturo, diverso, complesso; un amore che non rende rosa tutto ciò che tocca, ma sicuramente che dona un po’ di luce, che schiarisce l’antro buio in cui ogni vita, prima o poi, va ad incastrarsi – a proposito, sarà voluto il nome Soterio, che riecheggia quella dottrina della salvezza nelle religioni, la soteriologia.

La musica

E dove c’è amore non può mancare la musica. L’autore si fa riconoscere, tra le righe del suo primo romanzo; se non sapessimo che Riccardo Zanotti di professione fa il cantante, sicuramente supporremmo che nella sua vite le note hanno avuto un ruolo molto importante: “La verità è che lui e Santi erano due note a distanza di tre toni l’una dall’altra: un tritono, una delle dissonanze più grandi che esistono, tanto da essere chiamata diabolus in musica in tempi remoti. Per capirsi, sarebbe bastato che uno dei due si avvicinasse o allontanasse dall’altro di un semitono, un piccolo passo, ma entrambi stavano ben arroccati nella loro posizione, e la dissonanza non si risolveva mai. Giovanni, mentre stringeva tra le mani la polverosa chitarra del padre, si stava sforzando di percorrere il suo semitono verso di lui. A diversi chilometri di distanza, suo padre si stava sforzando di percorrere il suo semitono per allontanarsi dal figlio”.

“Ahia!” racconta la storia di ognuno di noi. Ci parla di come sia facile perdersi, tra le vie intricate dell’esistenza. Ci dice che, nonostante tutto, ci possiamo ancora stupire: di noi stessi, degli altri e dello strabiliante potere delle relazioni umane. Ci vuole convincere del fatto che non importa il punto del labirinto in cui ci siamo persi, perché una strada c’è, una via di uscita esiste: è stato pensato per essere difficile, ma non impossibile. Così come è la vita: nessuno mai potrà uscirne indenne, il The end! purtroppo o per fortuna è già scritto per tutti. Però possiamo goderci il viaggio, coscienti del fatto che ogni anima che incontreremo lungo la strada sarà inevitabilmente toccata e mai si dimenticherà del nostro passaggio.

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