93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Cosa sa il cinghiale del lockdown. E a cosa serve la poesia mentre tutto è fermo

Articolo. “L’indifferenza del cinghiale” è il libro che Pietro Berra ha scritto durante il lockdown della scorsa primavera, procedendo per istantanee insieme alle foto di Mirna Ortiz Lopez

Lettura 4 min.
Pietro Berra (Mirna Ortiz Lopez)

Nel Paese che scrive e non legge si pubblicava troppo prima del lockdown, figuriamoci poi, prima durante e dopo la cosiddetta seconda ondata. In mezzo a tante opere largamente prescindibili, un buon setaccio è la capacità tecnica di gestione del verso, giacché la poesia non è andare a capo ogni tanto: è invece una questione di metrica, ritmo e purezza delle parole – sì, anche sincerità, ma la sincerità non basta per scrivere buona poesia, altrimenti saremmo tutti grandi poeti.

Arminio, Evan e compagnia hanno scosso la torre d’avorio della poesia, divenuta ormai questione di poeti per poeti: lo spiega bene Pietro Berra che, seppur in autopubblicazione, ha dato alle stampe “L’indifferenza del cinghiale”. Sorta di diario poetico che procede per impressioni come lampi di significato, istantanee di parole che coincidono ad istantanee vere e proprie, ovvero le fotografie della compagna d’arte e di vita Mirna Ortiz Lopez.

Non è sempre perfetto il verso di questo libro istantaneo (instant book è definizione che confonde e sminuisce), ma è chiaro che Berra sa maneggiare la materia, plasmandola sulla misura del proprio interiore. Il verso, essenziale e immaginifico, è stata la sua risposta al lockdown: “sono stato spinto da un’urgenza inconsueta rispetto ai tempi di gestazione delle raccolte precedenti – racconta lui – Il lockdown mi ha offerto l’occasione per stringere alcune riflessioni sui temi dell’abitare – se stessi, la casa, la città, il mondo – attorno ai quali giro di fatto fin dalla prima raccolta che pubblicai ventitré anni fa”. Una dedizione al verbo poetico che significa lucidità: “I duecento metri che ci sono rimasti durante il lockdown hanno posto un limite drastico al microcosmo della mia ricerca, come un invito a concentrarsi sull’essenziale”.

Incuriosisce il titolo, laddove “il cinghiale, anzi la cinghiala con cuccioli, passata davanti a casa in cerca di cibo mentre noi eravamo ‘blindati’, credo fosse davvero indifferente alla nostra sorte, ma il suo solo essere qui, dove la sua specie fu introdotta oltre un secolo fa per il diletto dei cacciatori, non deve lasciare indifferenti noi, ma anzi spingerci alla responsabilità”. Impossibile non cogliere reminiscenze leopardiane: “c’è il tema dell’indifferenza della natura nei confronti dell’uomo, ma assegnando all’uomo un ruolo diverso rispetto alla tradizione nei confronti della natura”. Il cinghiale ha inoltre “permesso di risolvere il dilemma di cosa mettere in copertina: non una foto, bensì un dipinto rupestre delle grotte di Altamira, simbolo anche di quella infanzia dell’umanità che cito nel libro contrapposta alla fase adolescenziale che a mio avviso stiamo vivendo oggi”.

Alle poesie nella seconda parte del libro corrispondono gli scatti di Ortiz Lopez: “L’abbinamento tra poesia e immagini nel libro è nato in modo quasi automatico. Alcune delle prime poesie scritte sono fiorite attorno a particolari che, senza pensarci sopra, avevo anche fotografato: il giocatore di biliardino nel muro di una casa abbandonata, il castagno ucciso ben prima degli uomini da un patogeno cinese, il tavolo da ping-pong aperto in salotto dopo anni…”. Il dialogo fra parole e immagini è biunivoco, “mi sono accorto che alcuni temi e immagini presenti nei miei testi – soprattutto quelli relativi agli alberi, con cui Mirna ha da anni un dialogo molto intenso – li avevo già visti in certi suoi scatti, per cui li siamo andati a cercare e li abbiamo abbinanti con le poesie a posteriori. Tranne uno, il fiore di calendula cresciuto proprio durante il lockdown, che simultaneamente ha ispirato a me una poesia e a lei una foto”.

Nell’introduzione al libro Berra spiega la scelta di abitare in un bosco citando Thoreau: “Il bosco aiuta davvero a trovare l’essenziale. Ed è pure curativo. Ogni volta che rientro a casa passo, proprio nei fatidici duecento metri, attraverso una serie di stati dell’essere: il primo quando parcheggio l’auto e lascio l’asfalto per inerpicarmi su una mulattiera di pietra del 1817 e il secondo quando, alla curva prima di casa, complice anche l’abbandono dei terreni e dei terrazzamenti avvenuto negli ultimi cinquant’anni, mi ritrovo avvolto da un bosco fitto. Che mi accarezza e, allo stesso tempo, mi mette in guardia. Tutto questo si riflette nella scrittura”.

Buongiorno pietre acquasantiere / che conservate il nettare del cielo / negli incavi scavati dai miei progenitori”. “L’indifferenza del cinghiale” vive di questi squarci, capaci di aprire radure di significato. “Le ‘pietre acquasantiere’, che davvero si trovano duecento metri sopra casa mia, sono simboli di almeno tre ere: quella glaciale in cui i massi erratici scivolarono dalle Alpi fino a qui, quella protostorica in cui gli uomini scavavano coppelle sulle pietre per connettersi con il cielo e coglierne i segnali, quella moderna, per la precisione della crisi economica seguita all’anno senza estate 1816, quando per far passare la mulattiera che permise ai contadini di Brunate di scendere ai mercati di Como, furono incisi nuovi solchi nei trovanti al fine di dividerli in massi più piccoli”. L’esito riguarda “un invito all’uomo tecnologico a riconnettersi con tutti quelli che lo hanno preceduto e con le forze naturali, per decidere che cosa, di questo passato, portarsi nel futuro”.

A proposito di futuro: “Ma ora è il tempo di un salto di specie / di aggiornare i bestiari universali. / Si faccia spazio al pangolino, portatore inconsapevole della malattia del secolo”. Questo focalizzarsi sul contemporaneo porta un passo avanti la poesia di Berra, secondo l’idea che “la poesia può spalancare finestre tra la quotidianità e l’assoluto, grazie all’esattezza del linguaggio che dovrebbe perseguire e a quella realtà davvero ‘aumentata’ cui può dare accesso attraverso il significato non solo letterale, ma anche metaforico e simbolico delle parole utilizzate”.

Chi scrive condivide l’esigenza da parte dei poeti di sporgersi verso il presente, impegnandosi “a misurarsi con i temi fondamentali della contemporaneità. Dovrebbero compiere il massimo sforzo per utilizzare un linguaggio non banale, ma accessibile”. In questo modo “scoprirebbero che esiste un pubblico ben più ampio di quello dei lettori forti di poesia, come è capitato a due autori come Franco Arminio, molto attento al rapporto uomo/ambiente, e a Giovanna Cristina Vivinetto, che ha raccontato in poesia con un forte valore metaforico e universale il suo cambiamento di genere. Due casi che hanno fatto anche discutere all’interno della ristretta cerchia dei poeti, rispetto alla qualità e al successo dei loro testi, ma ben vengano discussioni che scuotono la torre d’avorio da cui erano rimasti paradossalmente esclusi i veri destinatari della poesia, i lettori/ascoltatori”.

Berra porta avanti da quattro anni il progetto Passeggiate Creative. “Utilizzo molto la poesia come chiave di lettura della realtà attraverso percorsi tematici, ed è sorprendente il numero di persone (oltre 8mila negli 80 appuntamenti proposti finora) che si avvicina alla parola poetica e se ne lascia attraversare con piacere, invece di scansarla come spesso accade dopo il percorso scolastico, credendola erroneamente poco comprensibile, piuttosto che astratta o desueta”.

Sito Pietro Berra

Approfondimenti