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#(di)versi: in montagna guarda dove cammini, la poesia attenta di Paola Loreto

Intervista. Il primo appuntamento della rubrica #(di)versi, dedicata ai poeti bergamaschi, è con Paola Loreto, docente universitaria e poetessa “della natura”

Lettura 4 min.
Paola Loreto in montagna

In visita
Nell’angolo lumente
t’intravedo, rara,
liscia la pelle al volto.
Sorridi e non sorridi,
ma mi piaci e plachi
il moto errante del respiro.
S’è quietato, il tuo,
forse per sempre,
ma ti piace – pare –
il dimorare nel velo
sottile dell’assenza.
Non temere ch’io non temo
lo svanire del sentirti
e del saperti chiara
e trasparente d’aria.

Che la poesia sappia spaventare anche i più accaniti lettori è risaputo. C’è da chiedersi innanzitutto il perché di questo fenomeno, probabilmente legato alla poca conoscenza del linguaggio. La poesia si muove su meccanismi diversi dal quotidiano e come ogni lingua che sia sconosciuta, per capirla è necessario ascoltarla, studiarla e amarla. Nasce così #(di)Versi, un excursus tra i poeti bergamaschi, nel fecondo sottobosco della poesia a Bergamo e in provincia. La nostra città è incredibilmente ricca di poesia, e ne scopriremo lentamente i suoi lati migliori.

Bergamasca, Paola Loreto insegna Letteratura Angloamericana all’Università di Milano. Ha pubblicato “In quota” (Interlinea edizioni, 2012; Premio Fogazzaro), la plaquette “Spiazzi dell’acqua” (pulcinoelefante, 2008), “La memoria del corpo” (Crocetti 2007; Premio Alpi Apuane 2008), “Addio al decoro” (LietoColle 2006, Premio Calabria-Alto Ionio 2007), “L’acero rosso” (Crocetti 2002; Premio Tronto 2003), la silloge “Conoscenza della neve” (nel numero 267 della rivista “Poesia”, gennaio 2012), la silloge “Transiti” (nell’“Almanacco dello Specchio 2009” di Mondadori), una silloge di poesie sulla montagna (Premio Benedetto Croce 2003), e numerosi testi in rivista e in volumi collettivi. Traduce i poeti americani ed è autrice di tre libri sulla poesia di Emily Dickinson, di Robert Frost e di Derek Walcott. Collabora alla già citata rivista “Poesia” di Crocetti Editore e a varie riviste di studi americani italiane e straniere.

CD: Sono stati gli studi ad avvicinarti alla poesia o viceversa?

PL: L’intreccio tra il mio mestiere e la scrittura non è ovvio, ma sicuramente quello che faccio rivela l’amore per la letteratura, che in qualche modo è una vocazione. Ricordo una lezione di italiano al liceo in cui mi sono commossa su alcuni versi della Divina Commedia, grazie alla bravura e alla passione della mia insegnante di lettere. C’è stata poi la scoperta della poesia e il conseguente innamoramento, nato all’università. Il professore con cui mi sono successivamente laureata aveva organizzato un seminario di approfondimenti dedicato a Derek Walcott, lì scoprii come leggere un linguaggio. Tuttora utilizzo con i miei studenti metodi che ho appreso in quel periodo, come lo studio delle parole, del loro significato e del dominio di appartenenza. La poesia è un oggetto bellissimo e manipolabile.

CD: Come hai iniziato?

PL: Quando ho scritto la prima poesia avevo circa ventitré anni. È successo durante una passeggiata in bicicletta, mentre attraversavo dei campi di orzo maturo: ho sentito il bisogno di esprimere ciò che avevo davanti agli occhi, quella distesa morbida e vellutata. Da quel momento ho iniziato a scrivere, parallelamente al mio percorso di studi. L’incontro con Nicola Crocetti, fondatore di Crocetti Editore e direttore della rivista “Poesia”, ha determinato la prima pubblicazione. È così che la scrittura “succede”: se non smetti, significa che devi farlo.

CD: La poesia è un linguaggio che si muove su meccanismi ancestrali, da cosa o chi trai ispirazione?

PL: È una riflessione che solitamente faccio a posteriori, nel mio lavoro sono molto lucida e oggettiva, riguardo alla mia poesia preferisco siano gli altri ad analizzarla. Non ho mai letto “a tappeto” un autore perché mi fosse da ispirazione, però è capitato che mi facessero notare delle analogie che ho trovato veritiere. Il mio primo approccio da studiosa è stato con Emily Dickinson, che sicuramente è presente nella mia scrittura; mi hanno fatto notare cadenze tipiche della metrica italiana, che si ritrovano soprattutto leggendo i versi di seguito, ignorando in qualche modo la cesura del verso.

CD: Domanda dunque scontata, ma necessaria: oltre a Dickinson, quali sono i tuoi riferimenti?

PL: Ho sempre avuto cura per la musicalità del linguaggio, non è nelle mie vene la poesia estremamente prosastica, penso che il verso debba essere tenuto in forma. Una sorta di musica della voce, legata all’intonazione, che non lascia cadere nessuna parola, pausa o virgola, in maniera non necessaria e gratuita. Sicuramente i miei riferimenti sono principalmente legati alla poesia americana, su tutti William Carlos William, per la sua capacità di ripotare un linguaggio parlato, ma mai trascurato e slang. I suoi versi sono tesi verso una musicalità elementare, ma studiata in ogni suo particolare e in grado di veicolare una poetica del quotidiano.

Ho mangiato
le prugne
che erano nel
freezer
e che tu avevi probabilmente
conservato
per la colazione.
Scusami
erano deliziose
così dolci
e così fresche.

(William Carlos William)

CD: Nella tua lirica è molto presente il tema della natura, in particolar modo la montagna. C’è un nesso tra la scrittura e la scalata verso la vetta?

PL: La mia poesia “attraversata in quota” è un confronto, un paragone, tra l’andare in montagna e lo scrivere poesia. Ad un certo punto della mia vita mi sono semplicemente resa conto della forte analogia, forse proprio perché sono due attività che pratico da decenni, per interesse, senza essermi posta degli obiettivi a riguardo, nonostante costino entrambe molta fatica. Sebbene abbia citato la montagna anche nei libri precedenti, “In quota” è quello in cui le ho dedicato tutti i miei versi. Ho abbracciato l’indirizzo eco-critico in letteratura e lo insegno ai miei studenti. È vero che in passato non era così comune scrivere di montagna e di natura, ma personalmente, da studiosa, me ne occupo da molto tempo. Fu proprio Derek Walcott, durante un seminario universitario, a dirci “abbiate il coraggio di scrivere di ciò che conoscete e vi sta a cuore”.

Far giornata
È stato come
le altre volte. Ho bucato
la nebbia su per il monte
dove gela la pelle in superficie
se sudi. Ho ascoltato
il cuore palpitare
sui sassi.
Mi tenevan compagnia,
come al solito, i corvi.
Volano neri e superiori,
con rare grida improvvide
e molta stasi nel planare.
La sete e la fame hanno
nuove papille, in alto.
E poi c’è il tempo
e la pazienza di calare.
La danza delle anche
che han mangiato il moto.
E poi il riposo: il calore
che emana la carne
asciutta e intenerita.

(Paola Loreto)

CD: E tu la montagna, la conosci bene.

PL: Al di là dell’immediata contemplazione e verticalità, universalmente approvate dai poeti. Ciò che accomuna la lirica all’alta quota è sicuramente la percezione amplificata. In montagna si è obbligati a prestare attenzione ad ogni passo, al tipo di terreno che si ha sotto i piedi e alle suole delle scarpe che si indossano; si tratta di una forma di adesione alla materia semplicemente vitale, altrimenti può essere pericoloso. Nello stesso modo per me essere poeta, significa vivere sotto forma di attenzione verso tutto ciò che incontri, percepisci, vivi, che è altro da te. Ciò che per la montagna è la roccia, per la poesia sono le parole: testimonianza di una percezione, trasformata in senso, significante.

CD: Uno degli obiettivi di questa rubrica è divulgare, per favorire l’approccio alla poesia come qualcosa di naturale, più vicino alla narrativa. Perché credi che i testi in versi provochino sentimenti di “resistenza” da parte di un gran numero di lettori?

PL: Credo sia legata a una forma di educazione: per qualche motivo si è abituati a pensare che la poesia sia una cosa difficile, da leggere soltanto come obbligo scolastico. Personalmente, come docente, cerco di insegnare attraverso l’esperienza in classe. Così come è stato per me, che ho imparato a leggerla e a capirla, così cerco di fare con i miei studenti, cercando di stimolare la riflessione con domande, partendo dal chiedersi se perché quello che si approccia piace o meno. Per amare la poesia è necessario essere consapevoli di come è stato manipolato il linguaggio, quello che si ha davanti è un oggetto d’arte e in quanto tale è necessario scoprirlo.

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