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Loredana Lipperini, quello che l’horror e il fantastico sanno di noi

Intervista. Capire l’America di Trump leggendo “It” di Stephen King, scoprire i classici con una serie tv di fantascienza e fare un viaggio su Saturno che finisce sul pianerottolo di casa. La conduttrice di Fahrenheit di Radio 3 ospite di Presente Prossimo a Nembro l’1 febbraio

Lettura 4 min.

Una giovane donna porta un libro sotto braccio, si intitola “Magia Nera”. Dodici racconti dedicati a dodici donne scritti da Loredana Lipperini, autrice, giornalista e conduttrice di Fahrenheit, storico programma di Radio Rai 3. La giovane avvicina la scrittrice, è perplessa, tra le pagine del libro si sarebbe aspettata di trovarci qualcosa sul sapere femminile e invece non c’erano altro che storie dell’orrore. Surreali e inquietanti racconti gotici di matrimoni, madri, ribellioni e doni.

Sono storie dove il quotidiano deraglia quando un uomo muore accanto alla moglie in ascensore o quando una medium stabilisce un contatto con un mondo parallelo. Nascono situazioni in cui tutte le regole saltano e quello che non appariva possibile né concepibile si rivela una realtà scura e disturbante. Allora le donne protagoniste del libro si trovano “sulla soglia di una scelta indispensabile e terribile, che cambierà la loro vita”. Una soglia che dal fantastico ci riporta ai drammi del reale.

Sarà proprio Loredana Lipperini a chiudere il Festival Presente Prossimosabato alle 18 alla Biblioteca di Nembro in Piazza Italia, in compagnia dei personaggi dei suoi libri, tra cui la vedova del grande illusionista Houdini e la filosofa esoterica Madame Blavatsky, protagoniste di due racconti di “Magia Nera”. L’incontro sarà un’occasione per scoprire con uno sguardo diverso il contemporaneo, sprofondando nei romanzi dell’orrore che aprono squarci su mondi raccapriccianti. Oppure avventurandoci tra i futuri visionari della fantascienza che ci portano in orbita nell’universo.

SV: In un intervento sul suo blog Lipperatura, lei cita un frammento di un’intervista fatta a Sciascia nel 1973, con due domande che ritornano sempre e che le ripropongo. La prima: “Crede anche nella letteratura come mezzo per informare l’opinione pubblica?”

LL: Credo di sì, la letteratura può restituire gli umori di una società. L’ha fatto quella mainstream, la grande letteratura e pure i romanzi del fantastico, a cui tengo particolarmente: Ray Bradbury, Philip K. Dick, Ursula K. Le Guin, Shirley Jackson e molti altri sono riusciti a cogliere quel “fascio di tenebra che viene dall’immediato presente e futuro”, come lo ha definito il filosofo Giorgio Agamben. Ultimamente però la letteratura, pur ottenendo risultati qualitativamente alti, tende ad essere un po’ rinchiusa su sé stessa e sulla storia famigliare.

SV: La seconda. “Qual è il posto e il compito di uno scrittore nella società moderna?”

LL: Posto che secondo me questo compito in generale non viene riconosciuto molto spesso, penso che cogliere quello che abbiamo intorno a noi, rilanciarlo e restituirlo sia un grande, grandissimo impegno. Sempre Sciascia citava Machiavelli sul tema del ruolo degli scrittori nella società: “non ti fanno nemmeno voltare una pietra”. Quella frase è un’antica faccenda: da sempre la letteratura cerca di rivoltare i sassi e mettere allo scoperto i vermi che ci sono sotto. Moltissimi lo fanno, mentre altri lo ritengono non necessario. Resto sempre perplessa davanti a dibattiti che non si concentrano sul contenuto, ma sulla forma. Non dovremmo perdere tempo a stracciarci le vesti chiedendoci se il romanzo è vivo o morto, è estenuante o non rilevante rispetto alla letteratura. Soprattutto in un paese di non lettori come il nostro.

SV: Quindi su cosa dovremmo concentrarci?

LL: Sarebbe più urgente invece ragionare sul perché un dato romanzo colpisca tanto le persone. Penso alla saga famigliare “Leoni di Sicilia” di Stefania Auci, trecentomila copie vendute senza recensioni: dice moltissimo di quello che siamo e di come funzioniamo.

SV: In questi giorni ha scritto anche di Wuhan e del Coronavirus: “leggo le cronache con avidità che non mi riconosco, lascio che il distacco scivoli via. Perché ci sono paure antiche, che le storie (già, le storie fantastiche soprattutto) si incaricano di ricordare e alleviare...”

LL: Certo, lo sguardo dello scrittore può riuscire a far leva su quelle paure antiche, come diceva il critico John Berger: quando immaginiamo il post-apocalittico, scenari di distruzione, epidemie o morie improvvise di uomini e animali, non stiamo riferendoci a un futuro possibile. Stiamo parlando di qualcosa che nel corso della storia è già accaduto, da qualche parte e in qualche tempo. Lo diceva bene Magareth Atwood. Trovo che la narrativa fantastica più di altre sia in grado di cogliere tutto questo. Shirley Jackson la definisce uno specchio in cui ci riflettiamo senza capire esattamente chi siamo.

SV: A questo proposito, lei per anni ha convissuto con un alter ego, Lara Manni, lo pseudonimo con cui ha firmato libri e curato anche un blog. Che rapporto ha con questo personaggio?

LL: Sono io, Lara. La rimpiango così come è stata, ma non torno indietro. Avere un altro nome permette di essere liberi, di essere giudicati nel bene e nel male solo per quello che si è scritto, non per l’idea che gli altri si sono fatti di te. Fernando Pessoa di personaggi ne conteneva a decine e decine, senza riuscire a capire se fosse vero e suo il dolore che provava. Diciamo che l’esperienza di pubblicare sotto altro nome mi ha dato la possibilità di esplorare stili e scegliere storie che prima non mi sarei mai data il permesso di scrivere.

SV: Un’esperienza di libertà quindi...

LL: Sì, grazie a Lara ho scoperto una regola banalissima: non bisogna mai scrivere quello che gli altri si aspettano da te, ma solo quello che credi sia giusto e bello per te. Recentemente sono stata avvicinata da una giovane donna che aveva tra le mani “Magia Nera”, era perplessa, si sarebbe aspettata di trovare qualcosa sul sapere femminile. Eppure quel sapere c’era. Nel gotico e nell’horror c’è molto di più di quello che ci si potrebbe immaginare, solo che non è presentato in modo canonico, sta tutto lì, lo si capisce leggendo Dafne Du Maurier e Shirley Jackson. Nonostante questo si continua a ritenere il fantastico qualitativamente inferiore, in realtà è solo quantitativamente inferiore, perché ce n’è di meno. Leggere Stephen King offre una chiave fondamentale per capire l’America di Trump, quell’America bianca, impoverita e arrabbiata è lì nelle sue pagine. Se poi uno vuole solo vedere la cripta con il dito che spunta...beh, questo è un altro discorso.

SV: Lo spiraglio tra reale e visione spesso è la porta che permette al lettore di entrare nella storia...

LL: Ovunque il letterario non si limiti ad essere autoreferenziale questo può accadere. Stendhal sosteneva che la letteratura fosse uno specchio posto ai lati della strada capace di mostrare la realtà, Ursula K. Le Guin è andata oltre, convinta che questo specchio potesse essere messo ovunque, anche in realtà parallele, funziona. Sono un’attenta spettatrice di serie televisive, che in molti ritengono essere il diavolo. Amo moltissimo “The Expanse”: è fantascienza, ma è anche Don Chisciotte. Già dalla prima puntata lo si intuisce, nella terza diventa chiaro quando l’astronave viene battezzata Ronzinante. Potrebbe capitare che qualcuno arrivi al libro di Cervantes passando proprio da lì. Che cosa dovrebbe fare di più chi racconta una storia, se non rimandarci a un’altra?

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