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John Qualcosa, come sopravvivere a un mondo di zombie

Intervista. È uscito da poco l’esordio del duo bergamasco, “Sopravvivere agli Amanti”. Ispirato al film di Jim Jarmusch e ricchissimo di riferimenti e stili

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Diciamo un’ovvietà: oggigiorno non sono molti i gruppi per cui sia ancora lecito spendere la parola “indie”, almeno senza che questa porti in dote tutta una serie di stereotipi ormai decisamente logori. Eppure nel caso dei bergamaschi John Qualcosa la si può usare nell’accezione migliore: indie nel senso di iniziare un progetto che nasca da una reale esigenza creativa, per poi registrare un po’ di pezzi senza nessuna fretta, nel corso di una decina d’anni, e condividerli oggi con un disco orgogliosamente autoprodotto.

Loro sono AmbraMarie e Raffaele D’Abrusco, compagni di musica e di vita, e “Sopravvivere agli Amanti” è il loro primo disco. Il coronamento di un percorso cominciato con questo nome già nel 2011, quando hanno iniziato a scrivere le prime canzoni insieme. Tra i tanti progetti paralleli però abbiamo dovuto aspettare fino ad aprile 2020 per poter ascoltare questo esordio.

Abbiamo raggiunto AmbraMarie al telefono per un’appassionata chiacchierata su queste nove tracce a cavallo tra rock, canzone d’autore, pop e folk, e sui tanti riferimenti del progetto. Che ha un’anima composita, sebbene in origine le idee alla base fossero decisamente più minimal: “Io e Raf suoniamo insieme nell’altro nostro progetto, AmbraMarie, da almeno sedici anni. A livello sia personale che musicale siamo due persone in simbiosi, ed è nato questo progetto di un duo, inizialmente acustico. Originariamente il disco sarebbe dovuto essere solo chitarra e voce, o pianoforte e voce, un po’ alla Damien Rice. Poi quando abbiamo iniziato a registrarlo ci siamo fatti prendere un po’ la mano, e il risultato finale è molto più pieno di come lo avevamo pensato inizialmente”.

Un viaggio di arricchimento sonoro continuo insomma, che pur muovendo da quell’embrionale necessità di riduzionismo ha saputo progressivamente impreziosirla senza snaturarla: il risultato finale è quindi memore di tutte le curve di un percorso che ha saputo filtrare e trattenere nel suo setaccio le grane più significative di tante esperienze diverse.

Ho una band con cui facciamo rock; tra le quattro teste che la compongono io sono quella con i gusti un po’ più acustici: adoro Damien Rice e tutta quella scena folk. Quando sono arrivati i John Qualcosa ho voluto concentrarmi su questo mondo, che non sentivo pienamente sviluppato nell’altro mio progetto. È come se avessi cercato un contenitore diverso in cui riversare tutti i miei gusti musicali. Inizialmente l’idea era di fare un disco ‘da cantina’, molto scarno, con i pochi strumenti che avevamo a disposizione. Poi negli anni abbiamo costruito, anche grazie all’aiuto del nostro batterista Mattia Degli Agosti che è a tutti gli effetti il terzo John Qualcosa. Inizialmente però volevo fare un disco à la ‘O’ di Rice appunto, che non ha chissà quali architetture d’arrangiamento. Poi registrando l’album vi è confluito tutto il mondo sonoro che ci ha accompagnati in questi anni. Ad esempio, adoro Iosonouncane“.

Ma, tra i riferimenti più evidenti, fa capolino anche un’altra grande band bergamasca: “i Verdena sono una delle band che amo di più al mondo”, e in effetti nella bella ballata “Il Ladro e la Strega” sembra di avvertire un’eco che guarda con deferenza a “Razzi Arpia Inferno e Fiamme”.

Non c’è solo la musica però tra gli ingredienti dei viaggi targati John Qualcosa. Già il titolo del disco (e dell’omonima prima traccia) costruisce un ponte diretto con il cinema. La citazione è al capolavoro di Jim JarmuschOnly Lovers Left Alive” (“Solo gli Amanti Sopravvivono”), un horror filosofico che parla di vampiri come allegoria, senza violenza ma con un grande senso di decadenza. È un saggio di manierismo terribilmente affascinante e orgogliosamente sentimentale. La visione della pellicola è stata determinante nella creazione del disco: “È un film che quando lo guardi ti ci immergi completamente, sia da un punto di vista estetico che di messaggio. Una sera stavamo scrivendo un pezzo, e volevamo che fosse ispirato proprio a quel mondo. Da lì, quando ci siamo ritrovati a fare un po’ la somma dei pezzi, abbiamo capito che era la canzone che ci rappresenta di più, che meglio riassumeva quello che siamo diventati negli anni e dove ci vediamo in futuro (stiamo già pensando a un eventuale secondo disco). Quindi abbiamo scelto quel pezzo come titletrack”.

Dalle parole di Ambra emerge poi chiaramente quale sia la lettura dell’opera di Jarmusch che abbia influenzato maggiormente il disco: “L’aspetto che ci ha colpito di più di quel film è la scena in cui i due protagonisti vanno di notte a vedere i resti di questo teatro antico, e guardandone il soffitto fantasticano sugli innumerevoli spettacoli passati su questo posto; dopodiché l’inquadratura cambia e scopri che questo teatro è diventato un parcheggio. Questo film racconta come solo le persone sensibili, gli amanti appunto (intesi come persone che amano l’arte e la bellezza), sopravvivano in un mondo di zombie: gli esseri umani, visti come persone che calpestano il mondo trasformando teatri in parcheggi”.

Che sia una canzone, un disco oppure un film, è sempre una scintilla creativa già molto a fuoco quella che porta alla nascita delle canzoni dei John Qualcosa. “Diciamo che in generale abbiamo sempre un’idea abbastanza precisa di dove vogliamo andare a finire: una canzone ispirata al film di Jarmusch, oppure a ‘Eternal Sunshine of the Spotless Mind’ (‘Sfacelo Azzurro’) oppure su quella sera in cui ascoltammo quella canzone dei Doors (‘Una Canzone dei Doors’). Insomma, più che seguire l’ispirazione del momento, in questi casi avevamo bene in mente le esperienze di cui volevamo parlare, quasi come se il disco fosse una sorta di nostro personale film”.

Questa continua ispirazione multimediale conferisce al duo i tratti di un contenitore caleidoscopico, composta da tantissimi riferimenti diversi da esplorare e approfondire: “Siamo entrambi amanti di cinema e serie tv, lo si può sicuramente notare dal disco. Quando rimaniamo particolarmente colpiti da qualcosa ci viene spontaneo prenderne il linguaggio e trasporlo in musica”. Può essere anche divertente scovare riferimenti a esperienze personali dei due autori, come nel caso di “15 Milion Merits”, che già nel titolo cita l’omonimo episodio della prima stagione della serie TV distopica “Black Mirror”: “parla di talent-show e di come questi programmi inghiottano le persone”. Qualcosa che ha anche un importante valore autobiografico per AmbraMarie, che ha partecipato all’Edizione 2009 di X-Factor.

È certo che, da un punto di vista sia musicale che citazionista, “Sopravvivere agli Amanti” è un disco capace di far “viaggiare”, anche in un senso strettamente geografico. Prendiamo “Amsterdam”, che porta l’ascoltatore direttamente nella capitale olandese tra campionamenti di biciclette e campanelli. “Sia io che Raf viaggiamo molto, e nei pezzi raccontiamo spesso le nostre esperienze. A maggior ragione in una canzone che parla espressamente di un posto ci portiamo dietro le sensazioni che vi abbiamo trovato, o la sua storia. Quindi poi ascoltando il disco nel suo insieme ti ritrovi un po’ in queste esperienze. È una cosa a cui inizialmente non avevamo pensato, ma che a lavoro concluso tra le varie tracce è emersa sicuramente”.

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