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Don Lorenzo Milani: il pensiero critico che nasce dalla comprensione

Articolo. La scuola come progresso, l’incontro-scontro con il mondo operaio e l’esperienza a San Donato di Calenzano. “Un viaggio lungo un mondo” sabato 28 settembre per deSidera

Lettura 4 min.

Don Lorenzo Milani non ha bisogno di presentazioni. La sua esperienza educativa e didattica, le sue parole, i suoi insegnamenti e la sua testimonianza continuano ad essere approfonditi e tramandati anche oggi, a cinquantadue anni dalla sua morte. La sua figura, spesso dibattuta, è ricordata soprattutto per la Scuola di Barbiana. Milani sperimentò le sue innovazioni a livello pedagogico in questo piccolo comune sperduto sui colli toscani, nella valle del Mugello.

Tuttavia, prima di arrivare nel 1954 a Barbiana, rimase sette anni a San Donato di Calenzano: un comune operaio a maggioranza comunista, tra Firenze e Prato. Anche qui, credendo fortemente nell’istruzione, creò una scuola rivolta ai giovani. Precisamente, una scuola popolare di operai.

Per ricordare questa esperienza, è nato lo spettacolo “Un viaggio lungo un mondo” che sarà proposto sabato 28 settembre alle 21 a Gromlongo, nella chiesa parrocchiale SS. Rocco e Sebastiano per il festival deSidera (ingresso libero).

In un brano dello spettacolo, la giornalista e scrittrice Claudia Cappellini presenta così l’arrivo a San Donato di Calenzano: “Un uomo slanciato, giovane e con un sorriso rivolto al mondo, cercò di scrollarsi da dosso le gocce della pioggia e prese posto dal lato del finestrino di una corriera bianca e blu che era ferma al capolinea in Piazza Santa Maria Novella. La corriera arrivò alla sua fermata. Pioveva anche lì. Sotto l’acqua sul ciglio della strada vide una quindicina di ragazzi e giovanotti, guardavano all’interno della corriera cercando di riconoscere qualcuno che aspettavano, evidentemente. L’uomo dall’interno della corriera li osservava, in un tempo sospeso, poi si rese conto che doveva scendere, prese la valigia e si avvicinò all’uscita. Don Lorenzo salutò e strinse la mano a tutti. La pioggia, nonostante gli ombrelli, scorreva sulle mani, sui volti, sulla valigia che passava di mano in mano ai ragazzi. Pioveva così tanto che don Lorenzo pensò che il Signore voleva battezzarlo infinite volte mettendo a dura prova il suo fisico ma non il suo morale. Il corteo festoso e bagnato cominciò a salire verso la chiesa”.

In scena ci sarà Gionni Voltan, che racconterà la storia di un uomo contrastato, che ha lottato tutta la vita per l’istruzione dei meno abbienti. Difendendo l’obiezione di coscienza all’interno del suo lavoro di trasmissione pedagogica: “Lo spettacolo – spiega Voltan – è nato per rendere noti aspetti meno noti di don Milani, ossia l’esperienza precedente a Barbiana, a San Donato Calenzano. È stata la volontà di alcuni ex allievi del sacerdote, ultimi rimasti in vita della scuola di San Donato Calenzano, a volere che fosse ricordato anche questo periodo del suo percorso esistenziale”.

Una rappresentazione che nasce dal desiderio di “lasciare una testimonianza dei sette anni a San Donato. È una zona metropolitana, a metà tra Prato e Firenze: qui aveva avuto a che fare con il mondo operaio e imprenditoriale. Si era incontrato e scontrato con varie realtà per cui era un personaggio scomodissimo per tutti. A San Donato Calenzano era un uomo impegnato che ha lottato molto, ha partecipato ai congressi dei lavoratori, facendo politica senza volerla fare. La faceva perché era in un mondo sociale fortemente impegnato, mentre a Barbiana ha dato sfogo ai suoi ideali”.

Don Milani capì che chi non riusciva a comprendere il significato di un testo dopo una lettura o un ascolto – sia esso un giornale o un contratto di lavoro – non è in grado di difendersi e non riesce neppure a elaborare un pensiero critico.

È in questi anni che iniziò a prendere forma “Esperienze pastorali”: un libro pubblicato nel 1958, quando don Lorenzo è già a Barbiana, che verrà ritirato qualche mese dopo dal commercio poiché la sua lettura sarà ritenuta “inopportuna”. Continua Voltan: Ai ragazzi, provocandoli, diceva: se voi non sapete leggere la prima pagina del giornale, rimarrete dei disgraziati. E chi gli diceva che sapeva leggere, lo metteva alla prova chiedendo cosa avesse capito dalla lettura. Perché non bastava saper leggere, ma era importante anche capire”.

Uno dei tantissimi aneddoti: “la prima cosa che fece a San Donato dopo aver conosciuto tutte le persone e i giovani del paese fu dire che avrebbe voluto fare una scuola per i giovani e quell’epoca era una cosa parecchio innovativa. Perché lì erano contadini che con l’industrializzazione delle città vicine andavano in fabbrica. Ma lui non vedeva il progresso come lavoro e stipendio, ma come studio”. Da qui la volontà di fondare una scuola: “Entrò nei bar dove di solito i ragazzi passavano del tempo a giocare a carte, a ping pong, a pallone: prese quegli oggetti e li buttò nel pozzo”.

Un approccio molto concreto che non andava a genio al partito comunista: “Perché il partito aveva le migliori intenzioni sull’avanzamento del popolo fondato sul lavoro, ma don Milani provocatoriamente diceva che il fine non era di lavorare per guadagnare. Lui voleva che la gente studiasse e non per avere lavoro migliore, ma per capire”. Tra le molte dimostrazioni di coraggio, l’attore ricorda anche un altro episodio: “Siamo alla fine degli anni Quaranta, prima di don Camillo e Peppone: don Milani entrò nella segreteria del comune di Calenzano, perché voleva partecipare al congresso del partito comunista per capire meglio come si muovevano. A metà del congresso il segretario si alzò, invitando il prete ad andarsene perché la presenza non era gradita”.

C’è qualcosa che accomuna gli ex allievi di don Milani?

Ho conosciuto tanti studenti di don Milani, anche di Barbiana. Lui diceva: “Vi farò convivere nella vostra diversità”. Ed effettivamente è così. Questi ex allievi sono diversi, anche caratterialmente, ma li accomuna la determinazione. Quella della coerenza, di chi ha le idee chiare.

Approfondendo la storia di Don Milani, cosa l’ha colpita maggiormente?

La convinzione, che ho sempre pensato anche io, che l’istruzione sia la cosa assolutamente più importante. Nella politica, nel privato, nella società, in tutto. L’istruzione è importante per capire, è alla radice di tutto. Se uno crede in questo, automaticamente viene facile pensare di contestare la maggior parte delle azioni che vengono fatte nella società. E poi, va bene svagarsi, ma bisogna fare anche qualcosa che nutra il cervello. E don Milani era molto determinato in questo.

Come si traduce nello spettacolo?

Cappellini ha saputo alternare momenti di determinazione e forza a quelli di dolcezza, di uomo giusto, che appartenevano al sacerdote. Ne nasce anche uno struggimento verso questa persona e la sua sorte: è stato contrastato tutta la vita e ha dovuto combattere con la malattia che lo ha fatto morire a quarantaquattro anni. Questa storia mista di dolcezza e forza, insieme al destino crudele non può lasciare indifferente le persone e quello che arriva è una fortissima emozione.

Perché è ancora importante l’esempio di don Milani?

Perché è stata una persona che ha sempre avuto una coerenza incredibile. Don Milani era determinato a fare, era coerente in tutto quello che faceva: non lo insegnava, ma lo faceva. E non faceva a caso, ma per la coerenza. Non ha mai fatto una cosa incoerente e per questo si è preso pure delle bastonate. Proprio perché non ha mai mollato. La coerenza è eternamente attuale, anche in futuro.

Cosa direbbe oggi?

Invece di lamentarsi come fanno molti, incavolarsi a caso come fanno altri, farebbe le stesse identiche cose che faceva all’epoca. Tenendo conto dei tempi, ma avrebbe portato avanti temi della conoscenza pur avendo realtà di giovani diversi, più istruiti rispetto a sessant’anni fa.

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