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Come si fa un audiospettacolo durante la pandemia. L’esperienza di Teatro Chapati

Intervista. Teatro ed educazione sono un binomio conosciuto, ma mai abbastanza valorizzato: non veicola solo crescita e condivisione, ma anche idee e creatività spesso potenti. Ecco come il laboratorio teatrale dell’Amaldi è approdato a “12:07”, una serie audioteatrale

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(ph Daniele Molinaro)

Potreste averli incontrati per esempio durante una parata cittadina, ma avete dovuto alzare gli occhi per guardarli. Teatro Chapati (al secolo Yuri Carminati, Francesca Curto, Michela Della Morte, Adriano Luciano Ivan, Nicola Paganoni e Luca Scarpellini, compagnia dal 2014 e associazione dal 2018) amano fare incursioni sui trampoli, anche se la loro attività teatrale non si limita a questo.

Tra le altre cose, conducono laboratori di trampoli, scolastici, esperienziali, con persone disabili, prestano le loro voci per il progetto di lettura dei classici dell’Università di Bergamo, fanno spettacoli per bambini e, appunto, parate. La storia del loro ultimo lavoro fa parte di quelle delle crisi che diventano opportunità. “12:07” è un audiospettacolo (che potete trovare qui) costruito e affinato grazie a un lavoro certosino, che in origine avrebbe dovuto essere la restituzione finale di un anno di laboratorio teatrale, quello che i Chapati portano avanti dal 2014 con i ragazzi e le ragazze del liceo scientifico Amaldi di Alzano Lombardo. Ce lo ha raccontato Adriano Luciano Ivan, parlando a nome del gruppo.

“L’anno era iniziato bene, si prospettava perfino una piccola tournée. Da maggio a dicembre avevamo iniziato a buttare giù idee, tutti, perché uno dei nostri obiettivi, in questo laboratorio, è di proporre solo testi originali: si scrive, si dirige e si porta in scena qualcosa di uscito dalle menti e dai corpi degli studenti stessi. Abbiamo individuato alcuni capisaldi della nostra drammaturgia: c’era un’entità che spinge le persone a muoversi e un paese lasciato di conseguenza, rimasto vuoto. A pensarci dopo dà i brividi: questa storia è l’esatto opposto di quello che è successo dopo, con la pandemia”.

Ciò che è accaduto da marzo 2020 in poi è ormai noto a tutti. “Ci avevano sostanzialmente già congedati e il laboratorio era considerato sospeso, ma abbiamo deciso, un po’ impulsivamente, di provare a spostarlo online”. Inizia una fase di lavoro concentrata sul copione, che si trasforma in un esercizio di scrittura collettiva a tutti gli effetti, con l’ovvia speranza di tornare in presenza appena possibile. Piano piano, la prospettiva è diventata quella di un video, per approdare poi all’idea di un vero e proprio audiospettacolo.

“Così abbiamo iniziato la fase di sperimentazione e di ricerca. Quasi follia, direi! Ci siamo ritrovati a fare di tutto: organizzare uno studio di registrazione nello spazio di un b&b inutilizzato a causa dell’emergenza sanitaria, con tutte le procedure di sanificazione del caso; a studiare prodotti audio-teatrali; a imparare i rudimenti della tecnica del suono. Abbiamo sostanzialmente quadruplicato l’impegno, è stato un lavoro immane ma al tempo stesso un percorso bellissimo. E quello che ne è venuto fuori, a dicembre 2020, è una serie audioteatrale”.

Si potrebbe pensare ai podcast che ascoltiamo con le ultime curiosità in fatto di viaggi sostenibili, oppure all’audiolibro di “Alice nel paese delle meraviglie” letto da Aldo Busi per Radio3. Ma un audiospettacolo, in realtà, non è nessuno dei due: non necessariamente c’è una voce narrante a spiegare ciò che non viene detto dai personaggi, e si deve quindi dare l’idea dell’intreccio narrativo dietro i dialoghi. I Chapati, quindi, hanno curato con attenzione la creazione del cosiddetto tappeto sonoro dietro alle voci: suoni raccolti con la strumentazione tecnica necessaria e rielaborati in post-produzione, mixati alla colonna sonora del tutto, cioè le tracce musicali, rigorosamente originali (create da Luca Cortesi).

“In uno spettacolo interamente audio, l’atmosfera va creata senza l’ausilio delle immagini. È stato estremamente impegnativo, non solo per noi ma anche per i ragazzi. Non volevamo che il risultato fosse raffazzonato né puramente amatoriale, perché il loro impegno enorme e la complessità del lavoro meritava un prodotto di buona qualità. La costanza, la passione e la serietà che hanno messo i ragazzi in questo progetto sono da veri professionisti. Infatti abbiamo preso una decisione per noi importante, e cioè di portare avanti il progetto come una vera e propria attività della nostra associazione, e di dedicarci all’audiospettacolo al posto della produzione a cui solitamente lavoriamo durante l’estate. In questo senso, gli studenti sono stati nostri collaboratori”.

Gli adolescenti, tra i grandi assenti nelle politiche istituzionali emergenziali e post-emergenziali, che sembrano spariti nelle loro stanze e dietro i loro schermi. Eppure questi adolescenti hanno dimostrato la loro presenza e consistenza, eccome: non solo non sono spariti, nel momento in cui la posta in gioco diventava sfuggente, difficile e onerosa; si sono fatti loro stessi promotori della prosecuzione di un progetto che era ormai tutt’altro rispetto a come si prospettava all’inizio.

“Alla fine dei conti eravamo noi a sentirci in dovere nei loro confronti. I ragazzi ci hanno creduto e hanno voluto fortemente che il progetto fosse portato a termine. Tutti si sono prestati non solo a incontrarci a luglio, ma anche a passare ore a registrare finché il risultato non ci soddisfaceva del tutto. Tutti dovevano attenersi rigorosamente alle indicazioni sanitarie; tutti hanno fatto la strada per venire più volte nel nostro studio di registrazione improvvisato. Bisogna dire che le famiglie ci hanno sempre spalleggiato e di questo dobbiamo ringraziarle. Su 25 ragazzi dalla prima alla quinta pochissimi erano maggiorenni”.

Dopo un percorso del genere, la speranza dei Chapati e dei ragazzi coinvolti nel progetto è che l’audiospettacolo rimanga come prodotto fruibile. “Stiamo pensando a una caccia al tesoro”, racconta Adriano. Portare un progetto coltivato e cesellato per mesi, contro i vuoti della pandemia, sul territorio. Un legame col territorio, d’altronde, i Chapati lo stanno coltivando da molto tempo, come dimostra il laboratorio che portano avanti da sei anni.

“Il tutto è iniziato per gioco: volevo vincere una scommessa, riuscire a portare un laboratorio all’interno dell’Amaldi, e l’ho vinta. Da allora riusciamo a riproporlo ogni anno e, esperienza dopo esperienza, la comunità scolastica del liceo ha imparato a fidarsi di noi. A inizio estate 2019, quando abbiamo presentato lo spettacolo finale di quell’anno, la sala del Teatro degli Storti di Alzano era pienissima, non solo di genitori o amici dei ragazzi, ma anche dei ragazzi degli anni precedenti, del personale della scuola, di chi aveva sentito parlare del laboratorio...”.

La filosofia dei Chapati si basa sul teatro come vettore di educazione per la collettività:

“Chi vede quei ragazzi in scena innesca a sua volta un cambiamento. Noi crediamo che sia necessario avere un impatto sul territorio, modificando davvero il tessuto sociale. I ragazzi vivono un’esperienza, chi è loro vicino ne è coinvolto, e questo influenza la comunità, che a sua volta influenza le comunità limitrofe. Il teatro e la sua funzione educativa, per noi, sono un motore del cambiamento”.

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